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Ivrea

Agenti penitenziari: sospensione annullata, ma restano indagati!

Lo ha deciso il tribunale del riesame. La Procura d’Ivrea non esclude il ricorso

Carcere: nebbia in val Padana. La giunta non sapeva nulla!

Carcere

Erano stati sospesi per le presunte torture ai danni dei detenuti Vincenzo Calcagnile e Oulaid Ainine del carcere di Ivrea. Restano indagati ma dalla scorsa settimana sono tornati in servizio. Il tribunale del Riesame ha infatti annullato la misura interdittiva applicata a dicembre dalla Gip del tribunale di Ivrea Ombretta Vanini.

Il collegio presieduto dalla giudice Loretta Bianco ha accolto le difese presentate degli avvocati di sette degli otto agenti (l’ispettore Alessandro Bortone non aveva presentato ricorso): Paride Petruccetti, Giovanni Atzori, Vincenzo D’Agostino, Riccardo Benedetto, Felice Cambria, Rocco De Maio e Lorenzo La Malfa. 

Nel caso denunciato da Ainine, il Riesame non ha rilevato il reato di tortura e scrive che «così contestualizzata l’azione, anche laddove il racconto di Ainine venisse ritenuto complessivamente attendibile, questo Collegio ritiene che non sarebbe ravvisabile il reato di tortura, ma semmai quello di lesioni aggravate». 

Perché «per quanto concerne il reato di tortura, la norma distingue se si sia in presenza di più condotte o di un’unica condotta che abbia comportato un trattamento inumano e degradante». Nel caso di Ainine si trattava di un un unico episodio e quindi non continuativo come previsto la Legge.

Nell’ordinanza di venti pagine il Riesame non nega che nella casa circondariale ci siano stati episodi violenti. Ma parla di assenza di riscontri specifici per quanto riguarda i casi che hanno determinato la sospensione degli agenti. I giudici sottolineano le difficoltà di trovare questo tipo di riscontri in un ambiente chiuso come quello del carcere. 

Uno degli agenti, Giovanni Atzori, è anche riuscito a dimostrare che il 24 luglio del 2022, ovvero il giorno successivo il tentato suicidio e alle violenze subite dal detenuto Vincenzo Calcagnile era in congedo. Di Calcagnile i giudici scrivono ancora che «va anche tenuto presente che si evince dalla cartella sanitaria tenuta dalla struttura carceraria che è soggetto bipolare».

Il Riesame, in ogni caso, non smonta completamente l’impianto dell’indagine della procura di Ivrea, portata avanti dalla pm Valentina Bossi. Tutt’altro! Cita per esempio i quattro fascicoli avocati ad Ivrea, sui fatti degli anni 2015-2016 e su un episodio più recente per cui è contestata la tortura, precisando come sia proprio l’ex comandante Michele Pitti (recentemente trasferito) ad aver riferito dichiarazioni «che all’interno del carcere vi era una sorta di “modus operandi” posto in essere da colleghi “anziani” per cui taluni venivano malmenati o percossi dagli agenti della polizia penitenziaria e denunciati per fatti commessi ai loro danni».

Tra le altre cose i giudici ammettono la difficoltà per chi indaga, di trovare riscontri nell’ambiente carcerario e affrontano i problemi legati all’accertamento del reato di tortura che prevede più condotte violente oppure una singola ma che sia qualificabile come «trattamento inumano e degradante».

Per i legali dei sette agenti è stato un lavoro di ricerca di controprove. Come quelle presentate dall’avvocato Enrico Scolari, che insieme al collega Mario Benni difende gli agenti La Malfa, Cambria e D’Agostino. A loro favore il legale ha portato le testimonianze dei medici del carcere di Ivrea e di Novara che avevano visitato Ainine. Scolari non fa mistero della soddisfazione per l’esito raggiunto e a fronte del provvedimento del Riesame ha una richiesta: «Mi auguro in un immediato reintegro in servizio degli agenti». Parla di amarezza provata per i mesi in cui hanno dovuto essere sospesi dal servizio l’avvocato Celere Spaziante che assiste altri agenti.

La procura d’Ivrea non esclude un eventuale ricorso in Cassazione. Le indagini sulle presunte botte nel carcere di Ivrea proseguono. Nell’inchiesta condotta dalla pm Valentina Bossi sono indagate 45 persone tra appartenenti alla polizia penitenziaria, medici, funzionari e direttori.

LA REAZIONE
Una sentenza importante  perchè rileva l’assenza di riscontri specifici

“La decisione del Tribunale del Riesame di Torino che ha annullato l’ordinanza delle misure interdittive che sospendeva dal lavoro in via cautelare sette agenti della polizia penitenziaria di Ivrea accusati di tortura è doppiamente importante: si inverte la tendenza, purtroppo molto diffusa in alcune inchieste, di considerare gli agenti “torturatori seriali”; si sottolinea l’assenza di “riscontri specifici”. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale S.PP (Sindacato Polizia Penitenziaria). 
“In attesa di conoscere in dettaglio le motivazioni del Riesame - precisa - dalle prime notizie diffuse dai media si evidenzia, peraltro, la “difficoltà di trovare riscontri in un ambiente chiuso come quello carcerario”. Non sfugga che uno degli agenti è riuscito a dimostrare che si trovava in permesso durante uno degli episodi contestati. Ed è tra i motivi per cui quel detenuto è stato ritenuto poco attendibile. Ed è proprio quello che come sindacato di Polizia Penitenziaria chiediamo da sempre: prima di assumere provvedimenti giudiziari o disciplinari che colpiscono servitori dello Stato e le loro famiglie verificare l’attendibilità di detenuti che denunciano presunte violenze...”.
“Sia chiaro – aggiunge - noi siamo per una modifica radicale del reato di tortura, poiché così come previsto, di fatto impedisce di compiere qualsiasi tipo di attività di contrasto alle violenze che quotidianamente interessano tutti gli istituti di pena del Paese. Ma scatenare nuove campagne contro gli agenti “torturatori” per colpire l’immagine di migliaia di servitori dello Stato produce solo l’effetto di innescare comportamenti violenti di detenuti che tra l’altro a differenza degli agenti non hanno nulla da perdere. Facciamo una semplice domanda: perché la brutale aggressione ad un agente penitenziario “vale” dieci mesi per il detenuto che nel carcere di Perugia nel 2020 è stato l’autore e addirittura pena sospesa per il figlio che pure ha partecipato all’aggressione e invece sino a otto anni per cinque agenti del carcere di San Gimignano accusati del “reato di tortura” nei confronti di un detenuto? C’è qualcosa che non torna e questo ci indigna profondamente. Accade dunque che i detenuti possono picchiare gli agenti contando sul fatto che rischiano poco o nulla ma se un agente fa rispettare l’ordinamento penitenziario rischia il giudizio per reato di tortura. Eppure nelle piazze agenti e personale di polizia anti-sommossa, come vediamo in tv ogni giorno, fa lo stesso lavoro dei colleghi della penitenziaria perché la sicurezza e la legalità vanno rispettati fuori e dentro le carceri. All’interno del carcere succede di peggio rispetto agli ultras che fanno guerriglia urbana come in occasione di rivolte con la grande differenza che gli agenti che contrastano i comportamenti violenti dei detenuti sono additati e perseguiti come torturatori. Sino a pagarne le conseguenze”.

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