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"La discarica chiude entro 3 anni!". Ma i cittadini non si fidano

L'annuncio nell'incontro dell'altra sera a Muriaglio per la discarica di Vespia. Ecco i dubbi di chi c'era sulle promesse fatte da "Dimensione Ambiente"

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La discarica di Vespia dovrebbe chiudere entro 3 anni

Tempo due anni, tre al massimo, e la discarica di Vespia verrà chiusa.

Questo è emerso nel corso dell’incontro organizzato dall’amministrazione comunale di Castellamonte martedì 6 dicembre nella Casa della Musica di Muriaglio fra i vertici della società “Dimensione Ambiente” che gestisce l’impianto e la popolazione delle tre frazioni interessate: Muriaglio, Campo e Preparetto.

Come sempre, i cittadini presenti in sala erano diffidenti e combattivi; a tutte le domande formulate è stata tuttavia fornita una risposta.

I responsabili della discarica hanno espresso a più riprese la propria disponibilità a confrontarsi e ad accettare suggerimenti su cosa fare di quell’area dopo la chiusura dell’impianto.

Il nuovo amministratore delegato Francesco Capone, che ha maturato una vasta esperienza nel settore dopo essere stato per trent’anni nell’Arma dei Carabinieri, ha rovesciato il punto di vista con il quale si guarda solitamente ad un impianto del genere: lo ha fatto con un po’ di enfasi ma in modo convincente.

So che avete avuto esperienze infelici  – ha detto – ma quei tempi sono passati e vi invito a vederci come amici del territorio. In realtà noi non inquiniamo, anzi esistiamo per evitare l’inquinamento e da carabiniere ero abituato a mettere in galera chi trasgrediva le leggi”.

Ha quindi proseguito: “Ci siamo occupati della seconda discarica più pericolosa d’Italia: quella di Pomarance  nella zona di Larderello (la peggiore era la Barricalla di Torino) e non sarebbe nel nostro interesse rovinarci la reputazione”.  

Alberto Gremmo, consigliere dimissionario di <Dimensione Ambiente>  ha aggiunto: “Il cancello è aperto per chi vuole venire a visitarci: sarete sempre i benvenuti. Lavoro nel settore dall’85 e quando nel 2016 sono arrivato qui mi sono detto: <Fra qualche mese questa discarica la sequestrano!>. Oggi facciamo anche di più, per la sicurezza, rispetto a quanto le norme prevedono”.

I dubbi dei cittadini

L'incontro dell'altra sera

Il desiderio dei residenti è ovviamente che la discarica di Vespia smetta di funzionare il più presto possibile. Temono nuovi ampliamenti - oltre a quello già stabilito - e nuovi posticipi della chiusura. Sui tempi il direttore tecnico Emanuele Destefani ha precisato: “Non so dirvi quando chiuderemo perché dipende dalla quantità di materiale che arriva: con un camion  al giorno durerebbe altri trent’anni; con quaranta camion tanti si lamenterebbero. Il concetto da tener presente non è quello del tempo: la durata residua dell’impianto è legata alla quantità di rifiuti depositati”.

Alcuni dei presenti hanno espresso le loro preoccupazioni di fronte all’acquisto di tanti terreni nella zona circostante la discarica.

Si tratta di 30 compromessi stipulati dalla gestione precedente ma non portati  a conclusione – ha detto Gremmo -.  I terreni erano stati comprati e pagati senza registrare il cambio di proprietà  per cui erano stati emessi assegni privi di giustificativo. Siamo stati costretti a prenderceli per chiudere la partita fiscale”.

Destefani ha spiegato per quale scopo fossero stati comprati: “Per il passaggio dei mezzi, per l’ultimo ampliamento e per la recinzione”.

Qualcuno ha incalzato: “Ne avete acquistati anche in aree non così vicine. Per farne cosa?”.

La risposta di Gremmo offre motivi di riflessione sul fatto che non è sempre tutto bianco o tutto nero e che, a fronte di tante persone preoccupate, c’è anche chi cerca di lucrare. Ha detto infatti: “Abbiamo dovuto acquistarli per forza altrimenti i proprietari non ci avrebbero ceduto quelli che ci servivano. Non si tratta comunque di grandi estensioni: 6-7.000 metri quadrati sui 38.000 totali. A noi interesserebbe anche la casa bianca situata lì vicino per dare un’abitazione al custode ed alla sua famiglia”.  

I timori per il post-mortem

Altra preoccupazione dei cittadini di Muriaglio, Campo e Preparetto è quella dei fondi a disposizione per il “post-mortem” ovvero per le spese di gestione successive alla chiusura: la vigilanza su un impianto del genere va mantenuta per trent’anni. Il timore è che la società non abbia denaro a sufficienza. 

I 5 milioni di euro necessari li abbiamo accantonati” hanno spiegato i vertici anche se – ha ammesso Gremmo - “quando abbiamo acquistato la discarica di Vespia  abbiamo dovuto farci carico anche di quella di Rivarolo, che è in post-mortem, una condizione che non produce utili ma solo costi. Sia qui che là abbiamo trovato le casse quasi vuote”.

Ha aggiunto l’amministratore delegato Capone: “Le società guadagnano sugli impianti in esercizio e possono stare in equilibrio se accanto ad uno che ha terminato la sua funzione ne gestiscono un altro in attività. Poi potrebbe anche darsi che quella di Rivarolo si riveli un affare. Chiedendo la bonifica, si scava e si recupera quello che è sepolto là sotto: ferro e plastica riciclabile, che valgono parecchio. Paradossalmente più le discariche sono vecchie (e quindi più  problematiche dal punto di vista sanitario ed ambientale perché vi si buttava di tutto) e più rendono: sono una vera e propria miniera di materiali pregiati. Questo genere di operazioni è la dimostrazione di come si possano fare affari tutelando l’ambiente”.

Discarica di Vespia, cosa ne sarà dopo la chiusura?

Cosa ne sarà di Vespia dopo la chiusura? L’intenzione è di inerbirla  e trasformarla in area verde. Mazza ha proposto un impianto fotovoltaico suscitando l’immediato  timore che i soldi per il post-mortem non ci siano e che si stia cercando un modo per procurarli. L’interessato ha smentito esclamando: “E’ un’idea che ho lanciato lì. Non sono un tecnico  e magari non si può fare ma in genere chi chiude una discarica la vende per due lire in nero ad uno scappato di casa, che al primo camion di percolato va in tilt. Con il fotovoltaico sopra non ci si potrebbe portare più nulla, sarebbe il segno che è chiusa veramente ed anche un modo per procurare vantaggi alle frazioni creando una Comunità Energetica”.

La discarica di Vespia

Il dottor Capone ha tenuto a rassicurare: “L’azienda resta quella e non venderà ad uno scappato di casa. Non sapevamo di questa idea del sindaco ma possiamo esaminarla”. Bocciata invece la proposta – arrivata dalla parte del pubblico - di un impianto eolico: “Sarebbe difficile collocarlo  su un terreno traballante”.  

Le parole di Mazza non erano evidentemente indice di sfiducia rispetto all’attuale gestione, visto che l’ha elogiata: “Bisogna riconoscere che ora la discarica è gestita bene. Questo è l’ultimo ampliamento, al quale eravamo  e siamo contrari: visto che non  possiamo evitarlo, teniamo le antenne dritte. Abbiamo anche assunto un architetto che si occupa di tematiche ambientali e gli ho dato una delega scritta: così, oltre al geologo Chiuminatto, disponiamo di un altro esperto”.

Ha ancora aggiunto: “Perché abbiamo proposto un Parco Fluviale? E’ anche quello un modo per porre la parola <Fine> alla discarica”.

Concordando con lui, uno dei presenti ha esclamato: “Non mi preoccupo di come viene gestita adesso perché è una gestione eccellente. Mi preoccupo del dopo”.

Un altro ha espresso la preoccupazione che il prefetto potrebbe, se si verificasse un’emergenza rifiuti,  emettere un’ordinanza  per posticipare ancora la chiusura, vanificando le promesse del sindaco perché a quel tipo di decisione non ci potrebbe opporre in nessun modo.

In quel caso – ha replicato Mazza - non varrebbe la mia parola né quella di nessun altro, Città Metropolitana compresa”.

E’ stato Capone a ridimensionare tale possibilità: “Il prefetto può fare un’ordinanza del genere ma solo per ragioni  di Pubblica Utilità e quindi per i Rifiuti Solidi Urbani. E’ successo in passato ma oggi Torino ha il Ciclo dei Rifiuti in equilibrio. Inoltre quelli che arrivano a Vespia sono di tipo industriale”.

Quale tipologia di rifiuti finisce oggi nella discarica di Vespia?

Non più quelli Urbani come in passato ma i cosiddetti <assimilabili> che sono simili ai primi ma che, provenendo dal settore industriale, vanno gestiti a parte. Si tratta di materiali come plastica e carta e rappresentano l’ultimo scarto: hanno già subito altri trattamenti.  Lo ha spiegato il direttore dell’impianto Destefani, sottolineando che “non sono odorigeni, cosa molto importante per evitare alla popolazione i problemi precedenti”.

A questo proposito, l’amministratore delegato Capone ha voluto precisare: “E’ vero che non sappiamo cosa venisse portato qui però non credo vi dobbiate preoccupare troppo: pensiamo sempre ai <Rifiuti> come  a quelli che produciamo  in casa ma, per quanto siano schifosi a causa della loro puzza, non creano grossi problemi alla salute. Nella Terra dei Fuochi i problemi sono stati causati dal cromo esavalente proveniente dalle concerie di Vicenza”.

Destefani ha aggiunto: “La nostra società ci tiene molto ad eliminare il passaggio del percolato nelle fogne: abbiamo installato un sistema automatico di rilevazione e le quantità mensili che estraiamo sono piuttosto importanti. La vasca del percolato diventa vasca di stoccaggio”.

Più d’uno fra i presenti ha domandato: “E se il percolato va a finire nel Malesina?” e la risposta è stata netta: “Non ci deve finire!!!” – hanno esclamato all’unisono - Sappiamo che succedeva, tant’è vero che in tre anni abbiamo ricevuto 25 visite dell’ARPA mentre la discarica di Grosso ne ha avute 3.  I controlli dell’ARPA sono organici, periodici e a sorpresa. Sia noi che loro ogni tre mesi procediamo con i prelievi a monte e a valle del Malesina”. Ha anche precisato che “la pompa automatica la utilizzano le imprese private o miste;  le società pubbliche preferiscono quelle  a mano perché meno costose”.

Uno dei presenti ha ricordato che quand’era bambino, a Castellamonte il Malesina era un giorno rosso, un giorno blu  a seconda delle sostanze che vi gettava la Conceria Alta Italia. Si è accennato anche all’amianto, riconosciuto come pericoloso nel 1956 mentre la prima legge che ne vietava l’utilizzo è del ’90.

La società di allora era più lenta a recepire queste problematiche di quanto non lo sia quella odierna - ha detto Capone – Non mi è simpatico l’ambientalismo <estremo> ma devo riconoscere che ha fatto anche del bene: se l’inceneritore di Torino per un terzo brucia e per due terzi lavora per non inquinare lo dobbiamo a  quelle battaglie. Il problema più grave è stata la lentezza nell’introdurre leggi adeguate: nel 1970 si buttava tutto nei fiumi e non era reato. Solo dal 2006, cioè da ieri, esiste una legge che ci dice cosa dobbiamo fare e come farlo”.

 

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