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Deposito nazionale di scorie radioattive, l’individuazione del sito slitta ancora

Il nuovo ministro Pichetto Fratin ha chiesto «ulteriori approfondimenti» a Sogin

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L’area To-10 è, secondo Sogin, “potenzialmente idonea” ad ospitare il Deposito

ROMA. A che punto siamo con l’iter per l’individuazione del sito, costruzione ed entrata in esercizio del Deposito nazionale per il materiale radioattivo? Sempre allo stesso punto: rimandare, procrastinare, rinviare ancora. Ad ogni anno (e ad ogni Governo) che passa, la data viene spostata avanti di (almeno) un anno. E quindi le scorie continuano a stare nei depositi “temporanei” dei siti attuali - fra i quali, nella nostra zona, Saluggia e Trino, collocazioni unanimemente riconosciute come inidonee -, Sogin continua a spendere milioni di euro (pubblici) per tenerle lì, e lo Stato continua ad erogare cospicue “compensazioni” ai Comuni per tenerli buoni (metodo che funziona: i Comuni incassano e non protestano più; anzi: protestano - e fanno causa allo Stato - non per far togliere prima possibile le scorie dai loro siti, ma per farsi dare più soldi).

Con il precedente Governo Draghi - il dicastero in quel momento si chiamava “della Transizione ecologica”- il ministro Roberto Cingolani aveva dichiarato che «secondo il cronoprogramma attuale è stata valutata come percorribile l’ipotesi di entrata in esercizio del deposito nel 2029, con individuazione del sito nel mese di dicembre 2023».

Cambiato Governo, cambiato nome del Ministero (ora si chiama «dell’ambiente e della sicurezza energetica»), l’11 gennaio scorso il nuovo titolare Gilberto Pichetto Fratin (Forza Italia), rispondendo a un’interrogazione alla Camera, ha detto che «Sogin ha elaborato la proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) e l’ha trasmessa al Ministero il 15 marzo 2022. Al fine di poter emettere il provvedimento di approvazione del parere tecnico vincolante sulla proposta da parte di Isin [l’organo di controllo, ndr], nel giugno 2022 la Sogin, su richiesta dell’Istituto stesso, ha trasmesso una proposta aggiornata di Cnai. A novembre l’Istituto ha inoltrato la documentazione al Ministero. Gli esiti dell’attività di verifica hanno evidenziato la necessità di integrazione circa l’applicazione di alcuni dei criteri di esclusione o di approfondimento adottati dalla Sogin riguardo ad alcune aree potenzialmente idonee. Pertanto, a dicembre 2022 è stato chiesto alla Sogin di effettuare gli approfondimenti richiesti al fine di trasmettere a questo dicastero, nel più breve tempo possibile, un parere tecnico risolutivo e consentire conseguentemente l’approvazione della Cnai».

Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica

Due settimane dopo la risposta del ministro la Commissione Ambiente della Camera ha ricevuto una risposta scritta a un’interrogazione. Il sottosegretario Claudio Barbaro (Fratelli d’Italia) ha specificato che «il parere tecnico Isin è stato ricevuto dal Ministero l’11 novembre. Gli esiti delle attività di verifica hanno fatto emergere una valutazione positiva solo parziale della proposta di Cnai, evidenziando la necessità di integrazioni e valutazioni circa l’applicazione di alcuni dei criteri di esclusione o di approfondimento adottati dalla Sogin riguardo ad alcune delle aree potenzialmente idonee.  Rilevando l’opportunità di giungere al superamento di tutte le criticità evidenziate dall’Isin, il 30 dicembre è stato chiesto alla Sogin di effettuare le integrazioni richieste, e quindi trasmettere nel più breve tempo possibile una proposta di Cnai conforme alle richieste dell’Isin, al fine di consentire l’approvazione della Cnai verosimilmente entro il corrente anno. Ipotizzando l’esito positivo di tutte le fasi procedurali, l’emissione del provvedimento di autorizzazione unica del Deposito potrebbe avvenire nel 2026 e la sua messa in esercizio nel 2030».

Ai primi di febbraio, poi, il ministro Pichetto Fratin, partecipando a un evento elettorale a Viterbo (nel Lazio tra pochi giorni si voterà per eleggere il nuovo Consiglio Regionale) ha dichiarato: «è vero, ho la Cnai sulla scrivania da tre mesi, ma del resto sono oltre trent’anni che siamo fermi. Ho chiesto approfondimenti, carotaggi e nuove analisi dei dati. Una volta avuti i chiarimenti farò le mie valutazioni. A meno che non arrivi l’autocandidatura».

E intanto nel sito Eurex di Saluggia resta bloccato il cantiere per la costruzione dell’impianto Cemex

SALUGGIA. Se - per ipotesi - domani mattina il Governo individuasse il sito in cui costruire il Deposito nazionale e ne autorizzasse la costruzione, Sogin - la società di Stato che da oltre vent’anni si occupa della gestione dell’eredità nucleare italiana - non sarebbe pronta a trasferirvi i rifiuti radioattivi. Perlomeno: non sarebbe pronta a trasferirvi i rifiuti (circa 300 metri cubi) che ancora sono allo stato liquido in alcuni serbatoi del sito Eurex di Saluggia, e che dal secolo scorso - quando ancora il sito era gestito dall’Enea - l’ente di controllo nucleare impone di solidificare in modo da renderli idonei al loro trasferimento nel Deposito nazionale.

L’impianto Cemex per la loro solidificazione, infatti, dopo vent’anni di annunci e dopo milioni di euro già spesi ancora non è pronto. Nel 2013 Sogin ne aveva affidato la costruzione - un appalto da 98 milioni di euro - a un raggruppamento temporaneo di imprese composto da Saipem spa e dall’impresa di costruzioni Maltauro, ma nel 2017 aveva rescisso il contratto lamentando ritardi e inadempienze. Il cantiere si è fermato e dalla vertenza è nata una causa milionaria, con Sogin che chiede a Saipem (e viceversa) il risarcimento dei danni.

Il cantiere dell’impianto Cemex

Mentre litigava in Tribunale con Saipem-Maltauro, nel 2020 Sogin ha pubblicato un nuovo bando europeo per il completamento dei lavori; ad aggiudicarsi l’appalto (cresciuto intanto a 107 milioni di euro) stavolta è stato un altro raggruppamento di imprese con capofila il consorzio napoletano Teorema insieme a Conpat, Infratech e Penta System, che ha poi assunto la denominazione di Cemex 2023, e al quale nel 2021 Sogin ha anticipato circa 32 milioni di euro «per le attività in officina e per i lavori in cantiere». Ma anche in questo caso è sorto un contenzioso tra Sogin e l’appaltatore, tanto che nel dicembre scorso Sogin ha deciso la risoluzione anche di questo contratto per «gravi inadempimenti alle obbligazioni contrattuali da parte dell’appaltatore: l’andamento fisico dei lavori al 17 novembre 2022 - sostiene Sogin - è stato complessivamente pari a poco più dell’1% a fronte di un avanzamento temporale preventivato di oltre il 50%». Provvedimento tardivo, perché già un mese e mezzo prima era stato il consorzio Cemex 2023, dopo l’invio di una “diffida ad adempiere” rimasta sostanzialmente ignorata, a formalizzare la risoluzione del contratto e a citare Sogin in tribunale: la prima udienza è prevista per il 23 marzo, il consorzio potrebbe chiedere un risarcimento danni superiore ad 80 milioni di euro.

Il contenzioso riguarda l’applicazione della normativa tecnica di omologazione: il progetto è stato redatto da Sogin sulla base delle norme Ped (Pressure Equpment Directive), mentre Cemex 2023 sostiene che - trattandosi di oltre 25 mila metri lineari di tubazioni e recipienti in cui scorrerà materiale radioattivo liquido in pressione - occorra applicare le norme Vsr (Verifica Stabilità Recipienti). Sul controverso ma fondamentale punto si sono espressi negli ultimi due anni sia l’organo di controllo Isin, sia il Dipartimento Innovazione Tecnologica dell’Inail e anche il Consiglio consultivo tecnico, un organismo in cui sono presenti rappresentanti di Sogin, di Cemex 2023 e dell’Avvocatura dello Stato. Nel momento più “caldo” della vertenza Sogin, Cemex 2023 e i sindacati erano stati convocati anche dal Prefetto di Vercelli. Ma non essendo stato trovato un accordo il contratto è stato rescisso e le parti si vedranno in tribunale.

Intanto il cantiere è fermo, i lavoratori sono stati mandati a casa e l’impianto Cemex sarà completato ed entrerà in funzione - forse, ma a questo punto non c’è più nulla di certo: non si sa ancora nemmeno a chi saranno affidati i restanti lavori - non prima del 2030. 

Sogin è stata commissariata l’anno scorso, dal Governo Draghi, proprio a causa dell’allungamento dei tempi e dell’aumento di costi del generale decommissioning nucleare italiano; il commissario è il prefetto Fiamma Spena, affiancata dai vice Giuseppe Maresca e Angela Bracco. Il ministro Pichetto Fratin in Parlamento ha affermato che Sogin «ha definito un piano di lavoro per il superamento dei principali fattori di crisi» e individuato «gli appalti che, per valore e complessità realizzativa, risultano strategici e che ricoprono un ruolo di particolare rilievo per gli aspetti di sicurezza, come il Cemex a Saluggia». Per completare l’impianto, ha aggiunto il ministro, «Sogin ha immediatamente posto in essere le azioni necessarie per il rilancio del progetto, istituendo una task force aziendale appositamente dedicata alle azioni per la chiusura del cantiere e la sicurezza dei rifiuti liquidi, nonché per la strutturazione di una nuova procedura di selezione del contraente». Intanto siamo a metà febbraio, il contratto precedente è stato rescisso da due mesi e ancora Sogin non sa cosa fare per far ripartire il cantiere.

Fiamma Spena, commissario Sogin

Il carrozzone

La stagione nucleare italiana si è chiusa nel 1990, con lo spegnimento delle centrali di Latina, Trino e Caorso a seguito dei risultati dei referendum del 1987. Da allora sono trascorsi più di trent’anni e ancora il Paese si trova a fare i conti (e a spendere enormi quantità di denaro) con quell’eredità. Sogin, la società costituita più di vent’anni fa per gestire e smantellare gli impianti, è in ritardo su tutti i cronoprogrammi - da Sogin stessa redatti, e continuamente aggiornati spostando le date più in là - di smantellamento, e l’assurda vicenda del Cemex di Saluggia è emblematica di come finora la Società non sia stata in grado di portare a termine il compito per cui è nata, e per il quale brucia ogni anno ingenti risorse pubbliche. Dal canto loro Governi (di ogni colore) e Parlamenti succedutisi da allora non sono ancora riusciti ad individuare il sito per il necessario Deposito nazionale in cui trasferire tutto il materiare radioattivo giacente in Italia (e, in parte, all’estero), tanto che per questo ritardo il nostro Paese è in procedura di infrazione dell’Unione Europea.

Non si tratta, però, solo di un comprensibile e fisiologico ritardo nella risoluzione di un problema complesso (e colpevolmente sottovalutato, per tutta la seconda metà del XX secolo, dai “nuclearisti” tecnici e politici), né soltanto di incapacità delle persone incaricate di occuparsene. Quello del decommissioning degli impianti nucleari è diventato un business, tutto a spese dello Stato (e quindi dei cittadini): un business che conviene a molti e che l’allungamento dei tempi contribuisce ad allargare. Conviene innanzitutto a Sogin, che continua a spendere soldi pubblici nella gestione dei siti attuali e nella costruzione di depositi “temporanei” che a quest’ora avrebbero già dovuto essere completamente smantellati.

Conviene alle aziende del settore, che si aggiudicano gli appalti meglio e più di quando le centrali nucleari funzionavano e producevano (poca) energia. Conviene a Francia e Regno Unito, a cui l’Italia paga profumatamente il disturbo di tener là il materiale radioattivo inviato a riprocessamento. E conviene anche a Comuni e Province, che da oltre un ventennio chiagnono e fottono: tenendosi “provvisoriamente” le scorie sui loro territori fruiscono infatti di cospicue “compensazioni”, utili agli scaltri amministratori per aggiustare i bilanci, costruirsi consenso e lanciare le loro carriere politiche; e non avendone mai abbastanza trascinano in tribunale lo Stato per farsene dare di più.

Il carrozzone nucleare italiano si mantiene così, a spese di tutti noi, non producendo assolutamente nulla. E continuerà il suo inconcludente giro ancora per decenni, perché tanti - troppi - ci viaggiano e ci mangiano, e a nessuno di loro conviene fermarlo.  (u.l.)

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