NEW DELHI. India: annullato ergastolo per gli italiani detenuti, liberi
20 Gennaio 2015 - 11:01
La Corte suprema indiana ha annullato oggi la condanna all'ergastolo di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, pronunciata dall'Alta corte dell'Uttar Pradesh, disponendone l'immediata liberazione. La sezione n.12 della Corte suprema, presieduta da Anil R. Dave, ha dichiarato che "la sentenza dell'Alta corte è messa da parte" e ha stabilito che gli autori dell'appello "siano subito rimessi in liberta'". L'ambasciatore d'Italia Daniele Mancini, presente in aula, ha espresso all'ANSA di New Delhi "grande soddisfazione per il risultato ottenuto". Bruno e Boncompani erano in carcere dal febbraio 2010 con l'accusa di aver ucciso a Varanasi il loro compagno di viaggio Francesco Montis. Subito dopo aver appreso la decisione della Corte suprema di annullare la condanna all'ergastolo di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, l'ambasciata d'Italia ha avviato le procedure per ottenere il loro rilascio dal carcere e disporne il rientro in Italia. Lo ha constatato oggi l'ANSA a New Delhi. La madre di Bruno, Marina Maurizio, e' stata subito informata dell'esito favorevole del ricorso, mentre i legali della famiglia si sono messi al lavoro per ottenere copia della sentenza con cui chiedere alle autorita' giudiziarie e penitenziarie dell'Uttar Pradesh il rilascio dei due italiani dal carcere di Varanasi. E' possibile che per finalizzare queste procedure siano necessarie almeno 24 ore, dopodiche', una volta riottenuti i passaporti, sara' possibile farli rientrare in Italia. Fonti legali indiane hanno indicato che "in teoria" la Procura dell'Uttar Pradesh potrebbe chiedere in esxtremis una 'review' (revisione) della sentenza di annullamento della condanna all'ergastolo, ma che tale ipotesi "e' praticamente esclusa". Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, i due italiani per i quali la Corte suprema indiana ha annullato la condanna all'ergastolo potrebbero rientrare in Italia questo fine settimana. E' quanto afferma la madre di Tomaso Marina Maurizio. "L'ambasciatore Mancini che ha seguito la vicenda e che ringrazio immensamente li porterà da Varanasi e Delhi. Quindi farà loro i documenti. Li imbarcherà su un aereo e torneranno a casa presto, forse già entro il fine settimana", spiega. La telefonata tanto attesa e' arrivata in Italia quando in India erano le 10,45 del mattino. E' stato l'ambasciatore Daniele Mancini a chiamare i genitori di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni per informarli della decisione della corte. "Per noi è una gioia immensa - spiega commossa Marina Maurizio - Sapevamo che i nostri ragazzi non avevano colpe. Ora è giusto che tornino a casa". "E' durata due giorni l'udienza - precisa -. Quindi i giudici della corte si sono ritirati in camera di consiglio. Stamane quando qui era con notte è arrivata la sentenza. Ancora non ci posso credere e pensare che avevo in tasca il biglietto ed ero pronta a partire per Nuova Delhi. Lo infileremo in un cassetto per sempre perché questa è una storia che ha segnato profondamente me e la mia famiglia", aggiunge la donna. L'odissea di Tomaso, trentenne di Albenga, ed Elisabetta, quarantenne torinese, comincia nel febbraio del 2010. I due erano in vacanza in India con Francesco Montis, 30 anni, di Terralba, provincia di Oristano, amico di Tomaso e fidanzato di Elisabetta. Il 4 febbraio il giovane sardo si sente male: gli amici chiamano immediatamente i soccorsi e contattano l'ambasciata italiana. Francesco morirà poche ore dopo. La giustizia indiana comincia a indagare, e porta in cella a Varanasi Tomaso ed Elisabetta. Secondo gli inquirenti, sul corpo di Francesco ci sarebbero dei lividi, segno di una colluttazione. "Lascio a voi immaginare come possiamo sentirci, dopo cinque anni di strazio. E' come rinascere": i genitori di Elisabetta Boncompagni hanno accolto così a Torino la notizia della liberazione a Varanasi della figlia. Leda, 80 anni, e Romano Boncompagni, 77, lo hanno saputo da Marina Maurizio, la madre dell'altro italiano rapito. "Ormai avevamo perso ogni speranza - ha detto all'ANSA il signor Romano, un ex maresciallo in pensione. "Anche perché non abbiamo grandi mezzi, e senza mezzi in India è difficile". I signori Boncompagni sono stati in India cinque volte da quando la figlia è stata arrestata. "Per noi, al di là dello strazio di vedere Elisabetta in carcere per accuse assurde - ha raccontato Romano Boncompagni - è stato anche un grosso sacrificio. Basti dire che bisognava pagare per tutto, anche per andare a trovarla in carcere. Non voglio dire di più, ma questi sì: la giustizia indiana è un mistero". L'ultima volta che il signor Boncompagni è stato a Varanasi risale all'ottobre scorso. "Erano state fissate le udienze, dunque ci siamo organizzati. Invece, una volta là, le udienze non sono state convocate. E' stato tutto allucinante. Ma ora che la vicenda si è conclusa non voglio più pensare a quello che abbiamo passato". Elisabetta Boncompagni, 43 anni, è rimasta in carcere con l'amico Tomaso Bruno per 5 anni. Per i signori Boncompagni sono stati anni "da incubo". "Ci tengo a ringraziare tutti quelli che ci hanno aiutato, l'ambasciata, gli avvocati. Ma soprattutto Marina (madre di Tomaso, ndr). E' lei che in questi anni ha tenuto i contatti, anche perché parla inglese. Si è battuta senza risparmiarsi. Alla fine è soprattutto una sua vittoria". Le pensa che la vostra vicneda possa avere effetti postivi anche sulla vicenda dei due marò italiani? "Non lo so, e non voglio esprimere giudizi. Sono due cose completamente diverse. Dico solo questo: l'India non è quel paradiso che si crede. Speriamo che la nostra vicenda sia utile a tanti altri".
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