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SETTIMO. Dalla Somalia alla cittadinanza onoraria

SETTIMO. Dalla Somalia alla cittadinanza onoraria

Abdullahi Ahmed intervistato nella redazione de La Nuova Voce

Il 18 settembre il consiglio comunale di Settimo deciderà se conferirgli la cittadinanza onoraria. Per il “forte senso civico che traspare dalla sua esperienza e dalle sue scelte, che si traduce in impegno concreto svolto a favore della comunità, mirato a far crescere tra le persone l’amore per la propria terra e la voglia di impegnassi concretamente per il bene comune”.   Abdullahi Ahmed nasceva a Mogadiscio, in Somalia, l’11 ottobre di 26 anni fa. Sbarcava in Italia, e più precisamente a Lampedusa, il 28 giugno di sei anni fa, come richiedente asilo politico. In questi sei anni, di strada ne ha fatta parecchia. Dall’arrivo al Centro Fenoglio di Settimo fino al servizio civile che tuttora svolge presso l’Informagiovani di Settimo Torinese, passando per i corsi di italiano, il primo impiego da magazziniere, l’importante lavoro da mediatore culturale per aiutare i “fratelli” appena arrivati a Settimo. E infine la richiesta di cittadinanza italiana.   Sei anni intensi, difficili. Sei anni in cui non ha ricevuto regali da nessuno: ciò che è diventato, Abdullahi se l’è creato da solo. Alla faccia di chi “gli immigrati vengono qui a rubare il lavoro a noi”. Sei anni che potrebbero essere coronati, il 18 settembre, da un riconoscimento di un’importanza simbolica eccezionale. “Sarei onorato di ricevere la cittadinanza onoraria. Se il consiglio comunale approvasse la proposta, per me sarebbe un gesto davvero molto importante. Settimo è la città che mi ha accolto e ospitato, e io mi sento cittadino settimese già da molto tempo”. Lo ha dimostrato, Abdul, non soltanto a parole. Rinunciando, per esempio, agli 800 euro che gli spettavano di diritto, sotto forma di assegno di disoccupazione previsto al termine del progetto cui ha lavorato negli ultimi anni. Ha rinunciato perché la disoccupazione era incompatibile con il servizio civile che Abdul voleva svolgere a Settimo. Così ora percepisce i 433 euro previsti per il servizio civile, e non più gli 800 di disoccupazione. Non certo una scelta dettata dall’esigenza economica, quanto più dalla voglia di restituire qualcosa, in termini di impegno civico, alla città che lo ha ospitato. Se li fa bastare per sopravvivere.     Fa male, alla luce della tua storia, vedere che molti italiani continuino a pensare che qualsiasi immigrato arrivato in Italia delinqua o rubi il lavoro al popolo italiano. “Io dico una cosa: quanti ‘torinesi doc’ ci sono oggi a Torino? Pochissimi. Molti sono meridionali immigrati al nord, alcuni sono stranieri. Come venivano accolti, decenni fa, i meridionali? Ecco, allo stesso modo penso che pian piano si arriverà a riconoscere ed accettare questo nuovo tipo di immigrazione. Oggi ci sono un milione di stranieri di seconda generazione, nati qui, che si sentono italiani”.   Quindi ritieni che la situazione migliorerà? “Ne sono sicuro. Fino a qualche anno fa , per esempio, non si poteva nemmeno nominare il concetto di ius soli. Oggi se ne parla, se ne discute”.   Come si sono comportati con te e con gli altri ospiti del Centro Fenoglio i cittadini settimesi, in questi anni? “Benissimo. In tanti sono stati disponibili con me: da Enza Levatè, che mi ha insegnato la lingua italiana (che ora padroneggia benissimo, ndr) a Giacinto Buttigliero e Sandro Venturini, il vostro direttore, con cui abbiamo organizzato partite di calcio per favorire l’integrazione. E molti altri”.   Nessun episodio di razzismo? “No. Settimo, in questo, è una città da prendere a esempio. In tutti questi anni i cittadini non hanno mai protestato contro la politica di accoglienza del Centro Fenoglio, anzi. Ci hanno sempre accolto bene”.   Settimo è un’eccezione? “Lo è. E non solo per i motivi già spiegati. Il problema immigrazione in Italia esiste perché lo si affronta sempre come emergenza. Non esiste pianificazione, non esiste un programma a lungo termine. Settimo è diversa: il Fenoglio avvia progetti di integrazione e permette ai nuovi arrivati di imparare la lingua e quindi di avere possibilità lavorative”.   Come nel tuo caso. Tu, ad esempio, sei diventato mediatore culturale. Sei andato nelle scuole a raccontare la tua esperienza. “In due anni ho incontrato più di tremila alunni delle scuole superiori di Torino, Settimo, Pinerolo e Cuneo. Le mie non sono mai state lezioni: ai ragazzi io porto la mia testimonianza, il mio racconto. Non ho la presunzione di insegnare niente”.   E quando senti i giovani dire che vorrebbero lasciare l’Italia? “Dico loro di essere più ottimisti. Io avrei voluto studiare, ma nel mio Paese d’origine non esiste l’istruzione pubblica, così come non esiste la sanità pubblica. Vivere in Italia è una grossa fortuna. Qui io ho potuto imparare l'italiano, fare esperienze di lavoro e infine trovare una mia strada. Sono diventato tifoso del Toro e mi sono abbonato allo stadio”.      
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