Domenica scorsa, nonostante la pioggia, si è corso ugualmente a Verolengo. Non per Emmanuele Russo, ma per sostenere le attività dell’associazione “Insieme per Matilde onlus”, fondata dai genitori della piccola Matilde Milano, affetta da una rarissima encefalopatia epilettogena. “Sono molto dispiaciuto per quello che è successo con Emmanuele e con la sua famiglia - spiega Lorenzo Cirillo, promotore della manifestazione podistica insieme alle associazioni del paese -. In questi mesi più volte ho detto loro che avrei fatto in modo di aiutarli, ma io non sono un assistente sociale, posso solo fare quello che è nelle mie possibilità. Sono un semplice cittadino, che organizza eventi sportivi e che con quello che può cerca di fare del bene agli altri, ma quando capitano situazioni così, sinceramente, mi passa davvero la voglia... Perché ci metto la faccia e tutto me stesso per queste iniziative”. “Con Emmanuele Russo e la sua famiglia ero stato chiaro fin dall’inizio - racconta Cirillo -. Io e gli altri organizzatori, purtroppo o meno male, dobbiamo farci garanti dei soldi che vengono raccolti. Dobbiamo tracciare tutto: è giusto che la gente che fa le donazioni sappia dove vanno a finire. Un pettorale, ad esempio, per la corsa ci costa 5 euro. Dobbiamo rendicontare. E l’unico modo per farlo è quello di coinvolgere una onlus in queste manifestazioni. Anche lo scorso anno abbiamo fatto così. Quest’anno, visto che avevamo pensato di aiutare Emmanuele, abbiamo pensato di rivolgerci all’associazione nazionale Simba, che sostiene coloro che soffrono del morbo di Behcet. Purtroppo, però, in tutti questi mesi è stato impossibile metterci in contatto con loro. La famiglia di Emmanuele lo sapeva. Così abbiamo pensato di trovare una soluzione sul territorio ed abbiamo trovato un’altra onlus che potesse farci da tramite nell’iniziativa”. “Il problema è nato quando siamo andati a comunicarlo alla famiglia di Emmanuele - prosegue Cirillo -. Loro si aspettavano di poter usufruire dei soldi in forma privata perché, almeno così mi hanno detto, li avrebbero usati per pagare i debiti che si erano fatti per le cure del ragazzo. Ma il nostro scopo era un altro: aiutare per le cure future. E’ l’unico modo che abbiamo per controllare come vengono spesi i soldi che si raccolgono con la beneficenza. Ho detto alla famiglia di creare una onlus, così avremmo potuto dare i soldi direttamente a loro, ma mi hanno risposto di no e allora che cosa potevamo fare? Crediamo di aver già fatto il massimo. Questa storia mi ha devastato psicologicamente: io ho solo cercato di fare qualcosa di buono per loro. Mi sono fidato di quello che mi aveva detto l’assistente sociale...”.
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