Giovedì 26 settembre. E' questa la data scelta dall'amministrazione comunale di Venaria, dai sindacati e dai Comitati di Quartiere per scendere ancora una volta in piazza in difesa della Sanità cittadina e della realizzazione del primo lotto del futuro ospedale di via Don Sapino. Un ospedale che rimarrà un sogno per i circa 36mila abitanti della Reale e per gli altri 170mila che compongono il distretto sanitario. “Siamo pronti a scendere nuovamente in piazza per difendere il diritto dei nostri concittadini ad avere una sanità efficiente e di qualità. La Regione deve rispettare i patti: Venaria non può vedersi tolto, dall'oggi al domani, un ospedale per fare posto ad un Cap. “I patti erano altri. Perché vengono disattese le promesse? Un territorio come questo non può essere privo di un ospedale”, hanno commentato così il sindaco Giuseppe Catania e l'assessore alle Politiche Sanitarie e Sociali, Giulio Capozzolo ad inizio dell'assemblea che si è tenuta in municipio lo scorso giovedì. La “battaglia sanitaria” è tornata d'attualità dopo che ad inizio agosto una determina dirigenziale regionale aveva dato avvio al processo di nascita del Cap, il Centro di assistenza primaria, anche a Venaria. Domande che vengono rafforzate dalle tesi di altri esponenti del Pd, come il consigliere provinciale Salvino Ippolito: “Basta essere presi in giro. La Regione deve mantenere le promesse o pagherà le conseguenze, sotto ogni punto di vista, di queste scelte. E' ora di finirla di fare figli e figliastri”. Esternazioni, preoccupazioni e quesiti tutti leciti – figli forse di una campagna elettorale in fase evolutiva – ma che dovrebbe fare riflettere sul tempo perso in tutti questi anni, visto che il fantomatico “nuovo ospedale” è stato al centro delle ultime cinque tornate elettorali comunali, ovvero da inizio anni '90. Eppure, nonostante in Regione si siano avvicendate Giunte di centro, centrosinistra e centrodestra, Venaria è sempre stata bistrattata e messa in un angolo soprattutto – ma non solo – per quanto concerne le tematiche sanitarie. E quando era possibile la svolta positiva, con il noto “project financing”, sono state alcune forze di centrosinistra. In primis l'allora assessore regionale alla Sanità, Eleonora Artesio, che bocciò l'idea assieme a Rifondazione Comunista poiché la Sanità non doveva essere affidata ai privati. Il tempo delle “vacche grasse” di democristiana memoria ormai sono un lontano ricordo alla pari delle pose delle “prime pietre” fatte con gli assessori regionali Valpreda, Artesio e Ferrero. Ma il fallimento degli amministratori della Reale, nessuno escluso, sul “caso ospedale”, quello non può essere dimenticato. L'occasione è stata persa. Ora i cittadini si ritrovano con una bellezza artistica e culturale come la Reggia ma senza un bene di primaria importanza e necessità come un ospedale, quando con un po' di lungimiranza e maggiore peso politico nei “tavoli che contano” si sarebbero potuti ottenere entrambi. Ma questo è ormai il passato: ora i cittadini per curarsi dovranno fare chilometri. A chi dovranno dire grazie?
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