AGGIORNAMENTI
Cerca
23 Dicembre 2019 - 17:19
La concessione della cittadinanza eporediese occupa un gran numero di carte riportate nel “Libro Rosso del Comune d’Ivrea”, così chiamato dal colore della copertina e contenente documenti che vanno dal 1115 al 1281.
Le clausole sono multiformi ed anche il meccanismo dell’attribuzione non è sempre uguale.
Le carte (così sono chiamati i documenti) che concernono la cittadinanza di Ivrea sono più di un centinaio: ne presenterò quindi solo una piccola parte, secondo me particolarmente significative perché ci indicano svariate clausole per la concessione.
L’ “habitaculum”, ricorrente in tutti i documenti di questo tipo, è un termine che potremmo tradurre con dimora, abitazione, domicilio, ma nessuna di queste parole esprime compiutamente tutte le possibili implicanze di “habitaculum”. Forse potremmo parlare di residenza, ma gli esempi che vedremo ci dimostreranno che nemmeno residenza è traduzione adeguata.
Anche per civitancia, citanatus ed altri nomi simili, il nostro vocabolo cittadinanza appare non del tutto soddisfacente, poiché è regola generale che i nomi siano strettamente legati all’oggetto designato, non solo bene materiale, ma anche ogni formazione di carattere politico, sociale e così via. È inevitabile quindi che un concetto nato per un determinato momento storico possa differire, anche profondamente, se lo si trasferisce in diversa epoca.
Altro termine assai frequente è vicinitas o vicinantia: sembrerebbe logico tradurlo con rapporti di buon vicinato, espressione che noi usiamo quasi esclusivamente per le relazioni fra vicini di casa. In realtà vicinitas, vicinantia, implicava sovente anche una sorta di dipendenza quasi feudale, per cui chi otteneva l’ habitaculum si impegnava, a nome proprio e di tutta la sua cerchia, a difendere, persino con le armi, gli interessi della città concedente.
Elemento fondamentale per ottenere la cittadinanza era l’acquisto di una casa o di altro bene immobile ad Ivrea o nel suo territorio.
Ecco, per cominciare, un documento che ci presenta una sorta di schema-tipo per la concessione della cittadinanza ed è particolarmente rilevante, in quanto riguarda un personaggio appartenente ad una delle più cospicue famiglie canavesane, quella dei conti di San Martino.
Nell’anno dalla Natività del Signore 1235, VIII indizione, nel giorno di sabato, settimo prima delle calende di settembre (25 agosto, perché il notaio non computò il giorno delle calende).
Nel nome del Signore, amen. Ad onore di Dio e della beata Maria Vergine, e del Comune e degli uomini di Ivrea. Il signor Ardizzone, figlio del defunto signor Payno, conte di San Martino, in piena Credenza del comune di Ivrea, nel palazzo del predetto Comune, convocata secondo il solito al suono della campana, promise e giurò sui santi Vangeli di Dio, a nome suo e dei suoi eredi, ai consoli di Ivrea, cioè ai signori Matteo figlio del defunto signor Bevolo, ed Enrico, figlio del signor Guidonerio del Pozzo, e Giacomo, figlio del signor Raimondo di Magnano, che accolsero, per conto ed a nome del Comune e degli uomini di Ivrea, “ciuitanciam,et habitaculum et uisinescum” (“cittadinanza, abitazione e vicinanza”) della città di Ivrea, e di adempiere e sopportare e sostenere gli oneri della città di Ivrea, e (i doveri delle) vicinanze, secondo quanto gli altri cittadini della medesima città in ogni tempo fanno e faranno.
Salvo tuttavia ed eccettuato che non saranno tenuti a pagare il fodro o a concedere mutui al predetto comune di Ivrea da qui a venticinque anni. E, da parte del predetto comune di Ivrea, o dai reggitori “pro tempore” della medesima città, non possa e non debba essere costretto, lui stesso o i suoi eredi, o figli, o figlie, o eredi (sic) a prestare un mutuo o pagare il fodro fino al predetto termine di venticinque anni.
Dallo scadere del predetto termine di venticinque anni in poi, dovrà e sarà tenuto a pagare il fodro e a concedere mutui al comune di Ivrea, di cinquecento vecchie libre segusine, lui stesso ed i suoi eredi, in perpetuo, secondo quanto faranno gli altri cittadini di Ivrea, cioè 250 libre per la proprietà e 250 libre per i beni mobili.
Inoltre promise e convenne anche di comprare una o più case o un podere, fino all’ammontare di cento vecchie libre segusine, nella città o nella curia o nel territorio di Ivrea entro la metà della prossima quaresima o un altro termine o altri termini dato o dati, secondo la decisione della Credenza della città di Ivrea, all’unanimità o a maggioranza.
Salvo che sia tenuto a comperare nella città di Ivrea una casa, o delle case, del valore di dieci libre segusine, entro tre mesi. Inoltre promise di venire ad abitare, e di restarci, nella città di Ivrea con la moglie e la sua famiglia fino all’anno nuovo, e da quel termine in poi di stare ed abitare nella città di Ivrea, come fanno e faranno gli altri cittadini della predetta città.
E come garanzia per il rispetto e l’obbedienza di tutte queste norme e di ognuna di esse, vincolò ai predetti consoli, che li ricevettero per conto ed a nome del comune di Ivrea tutti i suoi beni presenti e futuri.
E così per tutte le cose, come sopra si legge, il detto signor Ardizzone giurò sui santi Vangeli di Dio, per sé e per i suoi eredi, di rispettare e obbedire e non contravvenire. In più, i predetti consoli, con il consenso e secondo la volontà dei predetti credendari che erano convenuti in quel luogo, e gli stessi credendari, per conto ed a nome del comune di Ivrea, senza che nessuno fosse contrario, accolsero il signor Ardizzone quale cittadino ed abitante della città di Ivrea, e promisero di sostenere ed appoggiare ed aiutare, in buona fede e senza inganno, lui ed i suoi eredi e i figli, come cittadino di Ivrea, come gli altri cittadini di Ivrea, contro tutti gli uomini, luoghi, collegi (raggruppamenti, associazioni di mestieri e simili) e collettività e che rispetteranno, nei confronti suoi e dei suoi eredi e figli, le pattuizioni e convenzioni , cioè che non paghi il fodro e non conceda prestiti al comune di Ivrea fino al predetto termine di venticinque anni e che da tale scadenza in poi non possa né debba il Comune o il podestà o i reggitori della città di Ivrea, che di tempo in tempo saranno in carica, ricevere o estorcere da lui o dai suoi eredi un fodro o un prestito se non di cinquecento libre soltanto e non di più, cioè metà riguardante il podere e l’altra metà i beni mobili e in garanzia di osservanza vincolarono a lui come pegno tutti i beni del comune.
E poi i predetti consoli e credendari, e lo stesso signor Ardizzone ordinarono che si stendessero vari strumenti di ugual tenore. Intervennero, in qualità di testimoni, Martino e Garrono e Perino di Sassono e Carlevario, servi del Comune.
Ed io Stefano, notaio del Sacro Palazzo, fui presente e ricavai e scrissi vari strumenti di ugual tenore.
La parola “fodro” ricorrente nel documento indicava il diritto dei pubblici ufficiali e del sovrano in viaggio, di esigere dalle popolazioni foraggio e biada per i cavalli.
Quando una persona era di fondamentale importanza, la concessione del citanatus e dell’ habitancia poteva essere agevolata. È quanto succede il 21 luglio 1212 ad un certo magistro Petro medico.
Alla presenza di numerosi testimoni, e di altri spettatori, i consoli, a nome e per conto del comune di Ivrea, diedero al medico maestro Pietro tre parti della casa che fu un tempo di quelli di Castruzzone, le quali tre parti erano del comune di Ivrea.
La concessione era data a queste condizioni: per sempre, il soprascritto maestro Pietro ed i suoi eredi maschi e femmine da lui discendenti abbiano e detengano le soprascritte tre parti della soprascritta casa, facendone tutto ciò che vorranno farne o sarà loro utile. Salvo che né il soprascritto maestro Pietro né i suoi eredi potranno concedere né vendere né in alcun modo alienare a qualche persona, e neppure alla Chiesa.
Ed in quello stesso luogo, presenti i medesimi testimoni e presente la Credenza, il soprascritto maestro Pietro, per sé e per i suoi eredi, giurò l’ “habitaculum” ed il “vicinium” della città di Ivrea, e di fare [quanto era connesso con] la “vicinitatem” e [di affrontare] gli oneri cittadini per tutto ciò che possiede o potrà acquistare, come gli altri “vicini” che si trovano nella soprascritta città.
E se capiterà che il soprascritto maestro Pietro o i suoi eredi maschi o femmine da lui discendenti da una parte e dall’altra o dagli eredi suoi, come si legge di sopra, morirà senza eredi o lascerà il “vicinium”, le soprascritte tre parti della soprascritta casa siano riconsegnate al soprascritto Comune.
Adempiute le ultime formalità, i signori Boiamondo di Solerio ed Enrico del Pozzo, a nome del Comune posuerunt suprascriptum magistrum petrum corporaliter jn possessionem in suprascripta domo.
Vorrei solo sottolineare che il desiderio di evitare ogni fraintendimento porta gli estensori dei documenti a continue ripetizioni. Nella carta che abbiamo appena letto è addirittura stucchevole la lunga serie di “soprascritto”, “soprascritta”, “soprascritti”, “soprascritte”.
Ho poi lasciato la forma latina per alcuni vocaboli, a dimostrare quanto incerta fosse a volte la grafia di alcune parole, ad esempio “vicinium”, “vicinitatem”, e in altri documenti si trovano “vicinantia”, “uisinescum”, cosa per noi inconcepibile.
Così pure ho trascritto in forma latina l’ultima parte del documento, perchè mi è sembrata curiosa la frase usata per dire semplicemente che gli hanno materialmente consegnato la casa.
Un’altra carta, del giugno 1198, ci dimostra che a volte la concessione della cittadinanza eporediese era collettiva. Da essa apprendiamo infatti che la cittadinanza venne concessa contemporaneamente ai seguenti 23 signori, provenienti da molte località canavesane: Oberto di Romano e Martino suo figlio, Giacomo di Torre, Giacomo di Barone, Giacomo di Candia, il signor Oberto di Scarmagno, Giordano di Villa e Guglielmo suo fratello, Ardrico di Ronco, Guglielmo di Settimo, Ardrico di Villa, Alberio figlio di Calvo, Nicola di Candia, Guglielmo di Mercenasco e suo fratello Tezo, Morino, Guido di Mercenasco e suo fratello Roberto, Filippo di Loranzè, Pietro di Griva, Guglielmo di Barone, Rubo di Romano e suo figlio Rubo.
A volte, in mezzo ad un formulario codificato e ripetitivo, si scoprono degli squarci gustosi come quando, in data 15 febbraio 1214, i canonici del capitolo di Ivrea vendono a Guglielmino di Mombueno, che era tenuto a tale acquisto per suo “habitaculo”, una certa casa, fornita di solaio, con in basso una cantina, costruita in muratura e legno, che la chiesa di Santa Maria possiede in città.
In quell’anno, il numero dei canonici non era piccolo, se pensiamo che all’accordo ne intervengono ben dieci. Della casa e delle sue pertinenze, Guglielmino diverrà proprietario assoluto, con la facoltà di farne ciò che vorrà, senza tema di avere delle grane da parte dei canonici o di chiunque altro. Per la vendita, i canonici incassano nove libre e cinque soldi segusini, per i quali rilasciano ricevuta ed assicurano che non affermeranno, in futuro, di non aver riscosso la somma pattuita, ed asseriscono che sarà utilizzata a vantaggio della loro Chiesa.
Le clausole, già si è visto, erano abbastanza varie: il prezzo da pagare per l’acquisto della casa variava, anche di molto, e dipendeva con tutta probabilità dalla disponibilità finanziaria del candidato a cittadino eporediese; anche i termini entro cui l’acquisto doveva avvenire non erano sempre gli stessi; talora poi si dovevano accettare condizioni particolari, come nel caso del signor Rufino di Arnas.
Costui, il 1° settembre 1211, oltre ad altre pattuizioni, alla presenza dei consoli rappresentanti del Comune, giurò sui santi Vangeli di Dio ... di pagare il fodro e di fare invio alla città, se gli sarà richiesto, di 200 libre. E se gli uomini della città saranno coinvolti in guerra o il comune dovrà mandare cavalcate, [la “cavalcata” era il diritto del principe a ricevere da ognuno dei Comuni a lui soggetti un certo numero di soldati a cavallo, armati di tutto punto] il predetto signor Rofino promise che sarebbe venuto ad Ivrea o avrebbe mandato, a sue spese, un soldato con il cavallo e con le armi.
Altro particolare impegno prende il 22 giugno 1209 un certo Oberto, figlio del defunto Amedeo di Montalto. A garanzia dell’ottemperanza alle disposizioni, vincola al Comune tutti i suoi beni, e specialmente la sua parte del castello di Montestrutto e della torre e del podere ... e giurò di fare guerra e pace a chi vorrà il Comune, salvo contro il Vescovo di Ivrea, e che non dovrà rifiutare loro, per la parte di sua spettanza, il soprascritto castello e torre di Montestrutto.
Credo inutile presentare altre “carte”, perché quanto sin qui esposto illumina abbastanza bene la complessità della prassi per la concessione della cittadinanza eporediese, che a noi appare poco consolidata e a rischio di più di un arbitrio interpretativo.
Testo tratto dalla rivista Canavèis
Savino Giglio Tos
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.