Lucido, cordiale e disponibile come sempre. E nei suoi ricordi più belli c’è una vita trascorsa nelle scuole di Settimo. “Io ho avuto la fortuna di lavorare con delle persone straordinarie, erano dei bravi maestri, ma soprattutto erano disponibilissimi a divenire ancora più bravi.” Con questa frase pregna di ammirazione e rispetto Gianluigi Camera, classe 1935, racchiude la sua esperienza pluriennale, 34 anni, come direttore al II Circolo Didattico di Settimo. Un Direttore che è ricordato con stima e rispetto dai suoi colleghi, insegnanti ed ex alunni, a tal punto che erano presenti più di cento persone il giorno del festeggiamento dei suoi 80 anni, il 3 novembre 2015. Lei ha lavorato a Settimo dal 1968 al 2002, 34 anni di servizio, ma com’è capitato a Settimo? “Prima di arrivare a Settimo, ho avuto per un anno e mezzo l’incarico di direttore di un Circolo di montagna che racchiudeva dieci Comuni e trentatré scuole nelle Valli Canavesane Orco e Soana. Era un ambiente consolidato, molto omogeneo e con una popolazione stretta da forti legami sociali. Gli allievi e le famiglie erano abbastanza simili e affini sia dal punto di vista culturale che sociale. Poi mi trasferirono a Settimo e arrivai alla scuola elementare Roncalli, il 1 febbraio del 1968”. Come si trovò a Settimo? “Pensi a come mi sentii quando fui catapultato qui. Settimo aveva appena assunto il ruolo di città ed era in pieno movimento ed espansione sociale. Fui abbinato alla scuola elementare Roncalli costruita appena un anno prima al centro del Villaggio Fiat. Il villaggio era, ed è tutt’ora, una piccola città all’interno della città, e aveva una sua peculiarità che oggi ha un po’ perso. All’epoca infatti ospitava moltissimi operai che si trasferirono a Settimo per lavorare nelle fabbriche della zona e più in specifico alla Fiat.” Gli operai non provenivano solo dal sud, ma anche dal nord Italia e soprattutto dalle province piemontesi, astigiane e, nella maggioranza, cuneesi. E la scuola Roncalli, che poi era nata come succursale della Giacosa, era pronta a quest’ondata di immigrazione? “Non proprio. Con i lavoratori, ovviamente, arrivarono anche mogli e figli ai quali si doveva offrire posto nella scuola. Le aule disponibili alla Roncalli erano 15, non furono sufficienti a soddisfare le esigenze della popolazione scolastica. Infatti ne mancavano otto per ospitare tutti i bambini che, nell’anno scolastico ’67/68, erano 823 distribuiti in 23 classi. E non è tutto, negli anni successivi la popolazione scolastica è aumentata a dismisura arrivando nell’anno scolastico ’73/74 a contare 1619 bambini con un fabbisogno di 68 aule. Ricordo che su una parete della scuola Roncalli era comparsa in quegli anni una scritta significativa: più aule, meno parole. Così, nei primi anni in cui ero Direttore, ci attrezzammo a dovere: adattammo molti piani rialzati della case in corso Agnelli, in via Defendente Ferrari e in via Vercelli ad aule scolastiche. Inoltre tutte le classi facevano i doppi turni e si andava a scuola il mattino o il pomeriggio. I bambini mangiavano a scuola a settimane alterne, difatti solo quelli che facevano il turno del mattino usufruivano del servizio mensa. Una volta, pur di poter offrire un’aula ai bambini, arrivammo addirittura a tramezzare il refettorio, ostacolando le uscite di sicurezza. Una situazione che se penso alle norme sulla sicurezza di oggi mi vengono i brividi. ” C’erano altre problematiche oltre a quelle delle aule? “In quegli anni, e parlo sempre da quando arrivai io fino alla fine degli anni ’70, c’era il problema della disomogeneità sia fuori che dentro la scuola. Arrivavano moltissimi insegnanti di prima nomina da tutta Italia. Insegnanti bravi, preparati, ma giovani e con nessuna esperienza sul campo. Fuori dalla scuola, le famiglie provenivano da paesi molto distanti tra loro e, a volte, non si riusciva a costruire una comunità con basi comuni. Però non c’era miseria, perché erano tutti operai e quindi con un lavoro sicuro. Io non ho mai avuto un solo attrito con le famiglie dei miei alunni, avevano tutte un grande rispetto per la scuola e per il lavoro delle maestre. Inoltre, quando nel 1975 abbiamo aperto gli organi collegiali alle famiglie, per la prima volta hanno avuto la possibilità, con un entusiasmo incredibile, di partecipare alla vita scolastica dei loro figli”. Dopo gli anni ’70 i Circoli Didattici divennero quattro. Com’è stato il suo rapporto con gli altri Direttori di Circolo? “Ci fu sempre un’intesa meravigliosa, non ci siamo mai fatti sgambetti. Adesso invece i Capi d’Istituto cercano di recuperare il maggior numero possibile di allievi, mentre prima era l’opposto: cercavano di distribuire gli alunni su tutto il territorio”. Gli anni Settanta erano carichi di voglia di cambiare e di trasformare la società, ma anche le amministrazioni, forse, davano più risorse alle scuole, o no? “C’era un entusiasmo incredibile, ma è anche vero che noi, come Circolo, ricevevamo dal Ministero ogni anno circa un milione di vecchie Lire. Erano molti soldi all’epoca e li abbiamo sempre investiti in programmi didattici. Abbiamo messo in piedi laboratori di lettura, di pittura verticale, di espressività, di creazione con la creta, di scienze e molti altri. Organizzammo anche, nel 1977, in accordo con il Provveditorato agli Studi, con la dirigenza e i sindacati della Vetroeuropa, il primo esperimento di alfabetizzazione per adulti. Istituimmo un corso per 50 cassintegrati che non avevano la licenza elementare e quest’attività si è poi trasformata in quello che tutti noi conosciamo come CTP (Centri Territoriale Permanente) per gli adulti e per gli stranieri. Inoltre, vorrei ricordare che il II Circolo fu il primo comprensorio che istituì nella nostra provincia il tempo pieno. Difatti gli alunni della scuola “Nino Costa”, situata nel Villaggio Olimpia e succursale della Roncalli, andavano a scuola per otto ore, con due maestri e la mensa entrò a far parte del programma didattico educativo. Era la prima scuola a tempo pieno della provincia di Torino, escludendo Torino ovviamente”. Lei si è fermato 34 anni a Settimo, perché? “Mi sono talmente affezionato a questa città… scusi se mi commuovo… 34 anni sono tanti. Pensi che ho spostato la mia abitazione in Basse di Stura per essere più vicino alla mia scuola. Mi piaceva molto questo ambiente, un ambiente nuovo pieno di entusiasmo per il cambiamento e che credeva in quello che faceva.” Ha seguito tutta la diatriba sulle maestre che prima sono state immesse in ruolo e poi rischiano il licenziamento? Il tutto perché non avrebbero i titoli giusti per insegnare, non per colpa loro ma per una burocrazia fallace. Sì, e mi dispiace molto, ma credo che questa sia una discussione delicata e vada affrontata con serietà. A volte però credo che la responsabilità sia di alcuni sindacati, non le faccio naturalmente i nomi, ma si possono leggere in un articolo che è comparso su Orizzonte Scuola. Le faccio un esempio: tra poco c’è il concorso per Dirigente Scolastico e la norma prevede che per accedere a tale concorso si debba essere di ruolo, avere una laurea e aver lavorato un determinato numero di anni come insegnante. Perfetto, allora perché alcuni sindacati invogliano gli insegnanti non di ruolo a fare domanda di ammissione per il concorso e poi a fare ricorso qualora non venissero accettati? Ovviamente questo non vuol dire che nella faccenda delle GaE (Graduatorie a Esaurimento) sia solo colpa dei sindacati, e che non ci sia nessuna responsabilità del Ministero in tutto questo, però… secondo me, bisogna fare attenzione quando si deve decidere sul lavoro e, quindi sulla degli altri.
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