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TORRAZZA. Delitto Caccia: botta e risposta tra pm e imputato in aula

TORRAZZA. Delitto Caccia: botta e risposta tra pm e imputato in aula

SCHIRRIPA Rocco

Botta e risposta stamani in aula tra il pm di Milano Marcello Tatangelo e Rocco Schirripa, imputato davanti alla Corte d'Assise con l'accusa di essere l'esecutore materiale dell'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, nel 1983. "Io sono figlio di mio padre, non è vero che sono figlio di nessuno", ha risposto Schirripa ad un'affermazione in aula del pm. Nella sua requisitoria, infatti, Tatangelo ha detto che freddare Caccia a colpi di pistola fu una "prova di coraggio" data da Schirripa a Domenico Belfiore, a capo dell'omonimo clan della 'ndrangheta e condannato in via definitiva all'ergastolo in qualità di mandante dell'omicidio. Il panettiere, finito in carcere nel dicembre 2015 e diventato, secondo l'accusa, un "colonnello" dell'organizzazione mafiosa "vent'anni dopo" l'omicidio di Caccia, fu costretto a fare "la gavetta", a differenza di altri affiliati alla cosca. "L'Italia - ha detto Tatangelo - non è un Paese meritocratico, e anche nella 'ndrangheta funziona così. Schirripa era figlio di nessuno e per questo avrebbe dovuto dare prova" della sua fedeltà al clan. Un passaggio che ha provocato la reazione di Schirripa che ha detto, rivolgendosi al pm e alla Corte: "Non si possono fare queste affermazioni, io sono figlio di mio padre, non è vero che sono figlio di nessuno". La replica: "Intendevo solo dire - ha detto Tatangelo - che non risulta che lei avesse un padre già inserito nella cosca". Poco dopo, il pm ha ripreso la sua requisitoria (potrebbe concludersi domani con la richiesta di pena). E ha aggiunto: "Quando Belfiore si trova davanti alla necessità di trovare il killer di Caccia, la scelta più logica non poteva che ricadere su Schirripa, una persona con cui aveva uno stretto rapporto personale e che aveva dato concretamente prova di essere in grado di commettere un omicidio".
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