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IVREA. Miracolo al Rigopiano. Il racconto di un protagonista

IVREA. Miracolo al Rigopiano. Il racconto di un protagonista

Coggiola Roberto

Gianfilippo ha la stessa età di Alfredino ma stavolta quel buco nero non è il pozzo di Vermicino e non ci sono le lacrime disperate di Sandro Pertini né quelle di Angelo Licheri, l’uomo che sfiorò le dita del piccolo senza riuscire ad afferrarle davvero. Stavolta Gianfilippo esce con le sue gambe e sorride ai vigili del fuoco, che forse era da quel maledetto 10 giugno 1981 che aspettavano una giornata così. “Vai chicco”, gli urlano mentre applaudono, mettendogli una mano sulla testa per proteggerlo nell’ultimo metro che lo separa dal ritorno alla vita. Perché molti di questi pompieri sono di Roma e a Roma, se un bambino non lo conosci, lo chiami così, “chicco”.

Il miracolo

Il miracolo di Rigopiano ha il volto dei bambini. Quattro ne hanno salvati, quasi 48 ore dopo che una slavina con un fronte di 300 metri ha sommerso il loro hotel sotto 5 metri di neve. Ha il volto di Gianfilippo e Ludovica, i figli di Giampiero Parente. Ieri era un uomo senza futuro, il cuoco salvo per puro caso, piegato e distrutto da qualcosa troppo grande da sopportare, sopravvivere alla morte di moglie e figli, tutti insieme. E oggi è un signore felice davvero, di quella felicità che solo chi ha toccato il fondo del dolore può conoscere. E ha il volto di Edoardo e Samuel, uniti da un identico destino: uscire dall’incubo e trovarsi ancora impauriti in un letto d’ospedale, senza mamma e papà accanto a coccolarti. I genitori di Samuel, il poliziotto Domenico Michelangelo e Marina Serraiocco, sono tra i cinque ancora sotto le macerie con i quali i vigili del fuoco parlano da ore, mentre cercano di tirarli fuori senza far crollare tutto. Di quelli di Edoardo invece, Sebastiano Di Carlo, il pizzettaio di Loreto Aprutino e sua moglie Nadia, ancora non si sa nulla.

Ma il miracolo del Rigopiano ha anche il sapore della vita.

Quella vera. Che è più forte di tutto e malgrado tutto. E a volte spesso sorprende, stupisce. Perché i sopravvissuti a quell’inferno sono almeno dieci. Dieci vite che hanno sconfitto quell’inferno bianco. 

Come hanno fatto? 

Chi lo sa. Davvero nessuno ha la risposta giusta. Il primo gruppo di sei sopravvissuti che i soccorritori hanno individuato era in quella parte dell’hotel che, prima di tutto questo, era la ‘zona ricreativa’, con il bar e la sala biliardo. Quando tutto è crollato, lì si è creata una sacca d’ossigeno. E c’era anche qualcosa da mangiare e bere. Così ce l’hanno fatta, stando uno accanto all’altro per ripararsi dal freddo. I cinque metri di neve sopra le loro teste hanno fatto il resto, isolando dalle temperature sotto zero all’esterno della stanza. Una settima persona è stata individuata sempre nella stessa zona, ma separata dal gruppo, mentre i tre bambini li hanno trovati in una stanza poco distante: gli uomini dell’Usar, il nucleo ricerca e soccorso tra le macerie, hanno sfondato una parete e li hanno liberati. Era stata Adriana, la moglie di Giampiero Parete, a dire dove trovarli. Lei è stata estratta subito dopo il piccolo Gianfilippo. 

Quando li ha visti, i suoi angeli, gli occhi hanno lasciato uscire le lacrime. “Non ci credevamo più, non ci speravamo più”. 

Subito dopo è tornata ad essere madre. “Andate là, andate là, c’è una stanza, c’è mia figlia, dovete riportamela vi prego”, un braccio proteso verso quell’albergo maledetto, combattuta tra tornare la dentro per aspettare anche Ludovica o stare vicino a Gianfilippo.

Era da ieri sera che i soccorritori avevano cominciato a sperare. I volti di chi scendeva nel pomeriggio non lasciavano presagire nulla di buono. “Non c’è più niente, è difficilissimo”. 

Poi qualcosa è cambiato. I cani. I cani hanno fiutato qualcosa in alcune zone.

 “Finalmente avevamo delle ipotesi di lavoro - dice uno di quelli che ha operato lassù - e stamattina le abbiamo portate avanti. Più ci avvicinavamo e più i segnali diventavano chiari fin quando, a forza di battere, abbiamo sentito chiaramente la risposta arrivare da sotto”. 

Cosa sia successo in quei momenti tra tutti i soccorritori lo raccontano il volto e i gesti di Marco Piergallini. Il vigile del fuoco stava parlando con qualche cronista all’ultimo bivio prima dell’inizio della strada per l’hotel. “E’ un’operazione non facile - diceva, raccontando le ricerche dei dispersi, di cui ancora non c’era traccia - per i possibili crolli e per l’enorme quantità di neve. Stiamo lavorando ancora a mano perché con i mezzi pesanti rischieremmo di passare in punti dove potrebbero esserci le persone”. 

Squilla il telefono. “Scusate”.

Marco si allontana. Pochi istanti e gli occhi cominciano a brillare, ma il telefono prende male. “La radio, la radio, accendi la radio”. Le mani di Marco tremano per l’emozione. “Via via, liberate la strada, devono passare le ambulanze, subito”.

Marco risale in macchina, il collega parte sgommando verso la montagna.

I pompieri sono entrati nell’albergo da una botola che stava su quello che era il tetto di cemento e che ora è sotto metri di neve. Da lì le squadre hanno iniziato a togliere pezzi di cemento crollati e puntellare i solai, per mettere in sicurezza la struttura. Da lì, da quel buco, sono usciti i quattro bimbi e Adriana. E da lì usciranno anche gli altri cinque già individuati. E tutti gli altri. Ora in molti sperano, ci credono. Ma i dispersi sono tanti, ancora tanti. Almeno una ventina. Come Linda, che lavorava al centro benessere ed è la sorella di Fabio Salzetta che invece si è salvato. Venerdì il ragazzo andava in giro con una sua foto che mostrava ai pompieri. “Cercatela lì, dietro la nicchia. Era lì quando l’ho lasciata”. 

La cercheranno, ancora. Come faranno con tutti gli altri. Gli unici, che nessuno cerca più, sono Alessandro Giancaterino e Gabriele D’Angelo. Gente di questi posti, uno di Farindola l’altro di Penne. Erano il maitre e uno dei camerieri e per loro non c’è stato nessun miracolo al Rigopiano. 

Il racconto di Roberto Coggiola del Soccorso Alpino Canavesano

Hanno battuto la pista, noncuranti del buio, della neve e del freddo. E’ così che hanno contribuito a salvare la vita di alcuni superstiti del crollo dell’hotel Rigopiano. Sono arrivati da tutti’Italia e, tra i primi nel luogo della tragedia, c’erano anche alcuni canavesani della XIIª Delegazione Canavesana del Soccorso Alpino. Manuel Benone e Alessandro Massa della Stazione di Ivrea; Marco Cecchin e Roberto Coggiola della stazione di Locana, partiti alle prime ore dell’alba di giovedì, insieme ad una delegazione di 23 operatori provenienti anche da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. 

Il loro lavoro è proseguito fino all’una di notte e si è concentrato sulle operazioni di sondaggio e scavo. Un compito disperato. Tra materassi, cuscini e calcinacci frammisti alla neve le sonde continuavano infatti a trasmettere falsi segnali.

“Siamo arrivati con sci e pelli di foca e ci siamo ritrovati di fronte a un campo di operazione estremamente complesso - ha racontato il presidente della Sezione del Piemonte Luca Giaj Arcota -. Oltre a ciò che rimane dell’albergo, spostato a valle di una decina di metri dalla neve che lo ha investito, abbiamo ritrovato macerie, mobili e automobili fino a 400 metri di distanza.”. 

“E’ stato difficilissimo raggiungere il luogo della tragedia - ha raccontato sabato notte, al rientro Roberto Coggiola, 46 anni - Per percorrere i 23 chilometri che separano Penne da Rigopiano abbiamo impiegato quattro ore. Abbiamo abbandonato l’auto e con gli sci ai piedi abbiamo raggiunto, solo intorno alle 22 abbiamo raggiunto il posto. ...”.

Guida alpina di professione è istruttore nazionale presso il Cai, cresciuto nella sezione di Chivasso dove ha abitato fino al 2001,  Roberto Coggiola, che è anche vice capo della Stazione del Soccorso Alpino di Locana, è come se avesse ancora tutto davanti ai suoi occhi.

“E’ dal 2009 che opero con il Soccorso Alpino ma una cosa così non l’avevo ancora mai vista - racconta ancora - Abbiamo lavorato sino all’una di notte  Non avevamo una mappa di come era l’albergo e non sapevamo dove fossero le macerie. Ricordo solo una immensa distesa di neve. Poi grazie al fiuto dei cani della Guardia di Finanze e alle sonde abbiamo capito che alcune persone si erano raggruppate in un’ala dell’edficio, dove c’era la sala biliardo. Abbiamo cominciato a lavorare senza sosta. I primi che siamo riusciti ad salvare ed estrarre dalle macerie aprendo un falda, sono stati la mamma e il figlio. Poi gli altri tre bambimi...”.

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