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17 Gennaio 2017 - 17:59
“Sei per noi un esempio della Calabria che resiste, di quella parte della Calabria che prova a trasformare i problemi in risorse e che nonostante le difficoltà è riuscita a dare soluzioni concrete e un’alternativa reale a una comunità che di speranza non ne aveva più. Importante è quello che hai fatto a Riace, ma ancor più importante è l’idea rivoluzionaria e contagiosa che hai generato e che continua a vivere in tutte le persone che come te provano a lasciare il mondo un po’ migliore e un po’ più giusto di come l’hanno trovato”.
E’ un passo della lettera che i 17 ragazzi della “Carovana Arance frigie”, che fanno parte dell’associazione di volontariato “Casa Acmos”, hanno inviato al sindaco di Riace, Mimmo Lucano, che avevano incontrato nelle settimane scorse.
“Durante il nostro viaggio alla scoperta della filiera dell’arancia - scrivono ancora - ci ha portati a incontrare tante e diverse realtà che costituiscono la Calabria oggi. E’ stato un viaggio molto intenso, lungo e faticoso. Ma ne è valsa la pena. Abbiamo avuto modo di conoscere direttamente le realtà agrumicole che producono le arance dello Storico Carnevale d’Ivrea e di incontrare persone stupende che lottano ogni giorni contro la ‘ndrangheta sul proprio territorio, dando nuove prospettive ai bambini e ai giovani calabresi, ma non solo”.
“Vogliamo dimostrarti la nostra vicinanza e solidarietà per quanto accaduto nelle scorse settimane, ringraziandoti per la trasparenza con cui stai affrontando tutto questo, fiduciosi che tutto si possa risolvere per il meglio e che tu possa continuare a portare avanti quella buona politica di cui abbiamo infinitamente bisogno”, concludono.
Esplicito, insomma, il riferimento alle dimissioni (poi ritirate) presentate poco prima della fine dell’anno da Domenico Lucano, dopo alcuni attacchi in forma anonima comparsi in rete e tendenti, a suo giudizio, a screditare la sua azione sull’accoglienza dei migranti.
Lucano, solo qualche giorno prima, aveva ricevuto una missiva, breve e affettuosa, da Papa Francesco.
“Conosco le sue iniziative, lotte personali e sofferenze - ha scritto il Pontefice al sindaco - Le esprimo, perciò, la mia ammirazione e gratitudine per il suo operato intelligente e coraggioso a favore dei nostri fratelli e sorelle rifugiati”.
Primo comune italiano in cui i migranti non vengano reclusi in centri di accoglienza, ma accolti in vere e proprie case che vengono loro affidate, Riace è rifiorito proprio grazie all’arrivo dei profughi sbarcati sulle coste calabresi. Svuotato dall’emigrazione, il piccolo centro della Locride è stato ripopolato dai migranti alloggiati nelle vecchie case del paese, nel corso del tempo utilizzate anche per ospitare le botteghe artigiane, rinate proprio grazie ai profughi che hanno ripreso in mano le attività tradizionali.
Un “miracolo” possibile grazie ad una diversa gestione dei finanziamenti previsti per l’accoglienza, usati “per integrare e non per dividere”, utilizzati dall’amministrazione per ristrutturare le vecchie case, avviare attività che poi sono i migranti a portare avanti, mettere in piedi progetti.
Un circuito virtuoso che ha permesso anche ai calabresi rimasti in paese di non fare le valigie. E non solo perché il Comune ha assunto mediatori culturali, che in alternativa avrebbero dovuto cercare fortuna altrove.
Grazie ad una popolazione in continua crescita bar, panetterie, botteghe e persino la scuola elementare e l’asilo non hanno chiuso i battenti
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