Settimo è stata l’apripista in Piemonte di una nuova sanità che permettesse alle persone con una malattia mentale di vivere in appartamenti con una certa autonomia e indipendenza che non siano manicomi o comunità con 20/30 persone. Già nel 1971 , infatti, il comune si era mobilitato a nome e in difesa dei diritti dei suoi concittadini e aveva conferito ad un gruppo di operatori il mandato di continuare sul territorio la lotta contro i manicomi e contro l’emarginazione dei pazienti psichiatrici. Per questo sono stati scelti luoghi in pieno centro città e ben integrati nel tessuto sociale in cui inserire i gruppi appartamento e per dimostrare che i “matti” possono stare in mezzo alla cittadinanza, possono vivere in pieno centro ed essere inclusi ed integrati nella comunità e non essere esclusi e stigmatizzati, ancora prima della famosa Legge 180 (Basaglia). La “Comunità Residenziale” di via Amendola: La comunità è sorta nel 1976, prima ancora della chiusura dei manicomi dovuta alla Legge Basaglia, in via Amendola, per accogliere otto donne ricoverate nel Manicomio di Collegno residenti nei comuni di Leini, San Benigno, Settimo Torinese e Volpiano. Il comune aveva messo a disposizione lo stabile in cui hanno inserito queste donne che avevano totalizzato tra tutte 203 anni di internamento manicomiale ed erano state etichettate come gravi ed irrecuperabili. È stata creata quella che all’epoca si chiamava “Comunità Residenziale”, un modello di gruppo appartamento di riabilitazione ed integrazione nella comunità di queste persone. Negli anni i posti lasciati sono stati occupati da altre persone del territorio in crisi o in stato di bisogno. Oggi al suo interno non ci sono più le donne entrate nel 1976, alcune sono state riabilitate, altre sono mancate, ma sono subentrate nuove ospiti. La comunità di via Amendola è stata un vero punto di riferimento per le donne sofferenti sul territorio che vanno anche solo durante la giornata nell’appartamento per relazionarsi con le altre donne presenti creando così integrazione, inclusione e condivisione. “Un aspetto contestato dalla Dgr 30 che in realtà è un grande arricchimento- sostengono da + Diritti-. Arricchisce sia la persona del gruppo che la persona che proviene dall’esterno”. Come funziona la comunità? È regolamentata come qualsiasi abitazione, le persone esterne entrano solamente se accolte dalle ospiti. La Cooperativa che gestisce l’alloggio interviene nei seguenti modi: supporto alla persona nella gestione della quotidianità sia all’interno sia all’esterno del servizio, in coerenza con i progetti individuali; attività esterne che prevedono servizi di accompagnamento (dal domicilio delle frequentanti diurni alla struttura), supporti domiciliari e di reinserimento a casa di ospiti residenti e diurne. Gli interventi degli operatori sono proporzionali al grado di autonomia delle singole ospiti. Inoltre, la Cooperativa opera attraverso un contratto di affidamento con l’Asl To4. La comunità accoglie un massimo di otto donne residenti, sono inoltre accolte pazienti in inserimento diurno, fino ad un massimo di quattro al giorno. Non vi sono limiti d’età per l’inserimento, le donne però devo essere autosufficienti. Sia le persone residenti che quelle con inserimento diurno sono inviate e seguite dal Dipartimento di Salute Mentale e dall’Asl To4. La “Comunità Terapeutica” di via Virgilio Nel 1979 è stata attivata anche la comunità in via Virgilio. Una villetta con 8 posti letto che gli operatori definiscono come un’alternativa ai ricoveri in ospedale e alle Case di Cura private. Le persone sono abbastanza autonome al loro interno e l'equipe non sta 24 ore al giorno al suo interno. Inoltre è stata attuata una cura che si avvale anche di partecipanti esterni come i familiari, gli amici, ex pazienti, , ex-ospiti e anche momenti di aggregazione per un gruppo di giovani, tutti “reduci” da esperienze psicotiche, per migliorare le condizioni dei pazienti. Ad oggi in via Virgilio ci sono gli operatori di giorno. Anche in via Pirandello e in Corso Piemonte si sono realizzati negli ultimi anni dei gruppi appartamento per un progetto di autonomia delle persone con problemi psichici. Ad esempio in corso Piemonte ci sono tre uomini che hanno patologie di una certa gravità e hanno una bassa copertura giornaliera degli operatori. E poi ci sono i gruppi appartamento di PsicoPoint. Tutte queste realtà nella Dgr30 possono essere messe in discussione. “Per la Dgr30 non può esistere una comunità composta da 8/9 persone come in via Amendola- spiegano da +Diritti-. Non sappiamo esattamente quali appartamenti sono a norma e quali no, speriamo di avere presto un sopralluogo di Di Croce che ha studiato bene la Dgr30 e potrà farci capire al meglio cosa è a norma e cosa no. Per capire effettivamente quali situazioni sono più a rischio”.
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