Sarebbe stata una tranquilla e consueta domenica da trascorrere in due, da dedicare alla vita di coppia dopo una settimana di lavoro. E invece il week end di Massimo Di Carlo e della fidanzata Federica Nicolosi, entrambi agenti di polizia municipale a Torino, aveva sfiorato la tragedia. Aggrediti, lungo la via che conduce al suggestivo Lago dei Cigni, a Venaria Reale, da tre sconosciuti. Tanto che oggi, in tribunale, a seguito della denuncia sporta dai malcapitati, è cominciato il processo a carico di Gianfranco Gallo, 26 anni, Gioacchino Gallo, 29, e Alexandro Ientile, 27, difesi dagli avvocati Tommaso Calabrò e Roberto Caranzano. Devono rispondere dell’accusa di lesioni aggravate in concorso. Il 30 marzo del 2014 Di Carlo e Nicolosi avevano deciso di partire in bicicletta, alla volta della romantica meta. L’aria primaverile, il sole tiepido della stagione, li avevano convinti a prenderla con calma. L’orologio segnava circa le 17 quando, ad un certo punto, la coppia aveva propeso per un break. “Federica cominciava ad essere stanca.. Così ci siamo fermati. Stavamo ammirando il grattacielo della San Paolo” ricorda Di Carlo, ed è quello che ha raccontato, venerdì mattina, di fronte al giudice Maria Claudia Colangelo. E’ proprio mentre riprendevano fiato che sulla loro strada si erano affacciate due automobili, una Opel Meriva ed una Fiat Punto, dal comportamento sospetto. “La Opel ha fatto su e giù per due o tre volte” ha rammentato la Nicolosi in aula, rispondendo alle domande del Pubblico Ministero Roberta Bianco. Fino a che l’auto si era fermata. Dal finestrino abbassato si era affacciato un ragazzo. “Tutto bene?”. “Sì, tutto bene”. “Ehi, guarda che le donne si trattano bene” avrebbe concluso, stando al racconto, quello sconosciuto. E la provocazione aveva sortito anche un certo effetto su Di Carlo: “Mi ha dato molto fastidio, quel commento non aveva senso, ecco perché gli ho detto di farsi gli affari suoi”. Finita lì? Niente affatto. Il rumore del motore aveva attirato nuovamente l’attenzione della coppia e non presagivano nulla di nuovo. Stavolta i ragazzi a bordo delle auto avevano deciso di passare ai fatti. Soltanto una frase: “ti insegno io come si trattano le donne”. Poi le botte. “Ho sentito tutte e quattro le porte della Opel Meriva aprirsi - ha proseguito il racconto la Nicolosi, in tribunale -. Sono scese delle persone, si sono avventate sul mio fidanzato. Ho notato che dietro i vetri posteriori scuri della Opel Meriva c’era una donna. Le ho detto di fare qualcosa, di aiutarmi a fermarli. Ma non ha fatto nulla”. La ragazza, nonostante la disparità numerica, aveva cercato di correre in soccorso al fidanzato. Ne aveva rimediato una ferita alla mano destra. Si era messa in mezzo ed uno dei tre le aveva lanciato contro la bicicletta. “Non avevamo mai visto quelle persone, degli attaccabrighe - ha sottolineato Di Carlo - ed io non sono mai più andato al Lago dei Cigni. Quella domenica c’erano pochissimi avventori, erano passate pochissime macchine, l’unica strada era quella su cui ci trovavamo noi. In quel frangente ho pensato solo a coprirmi le parti più vitali del corpo. Mi hanno letteralmente sommerso di pugni, schiaffi, un’aggressione violentissima nel giro di pochi secondi. Avevo un paio di occhiali da sole volati via al primo colpo che ho ricevuto, un borsello in pelle graffiato, la bicicletta di Federica si è scorticata la sella cadendo sull’asfalto. Lei urlava, le hanno tirato addosso una bicicletta e mentre cercava di distrarli ero riuscito a comporre il 112, se non che, appena se ne sono accorti, mi hanno nuovamente aggredito”. Il processo è stato rinviato al 26 gennaio.
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