Sarà pronunciata il 28 ottobre la sentenza nei confronti di Eraldo Personettaz, il medico chirurgo dell’ospedale di Cuorgnè, 57 anni, residente a Favria, imputato presso il Tribunale di Ivrea con l’accusa di omicidio colposo. Secondo la Procura l’uomo, difeso dall’avvocato Anna Ronchetto, non avrebbe posto in essere tutte le operazioni necessarie ad evitare la morte di Ida Berta, 67 anni, di Montalenghe, avvenuta il 26 marzo 2012 dopo essere stata visitata presso il Pronto Soccorso e subito dimessa. Venerdì in aula si è assistito ad una battaglia di perizie. L’accusa sostiene che quel pomeriggio il chirurgo abbia dimesso la donna quando invece avrebbe dovuto ricoverarla. Lo ha spiegato il consulente Roberto Testi, già citato per le udienze precedenti ma la cui assenza ha costretto il giudice Lodovico Morello a rinviare due volte il processo. “Il decesso - scrive Testi nella sua relazione - fu causato da un infarto intestinale conseguente ad un’ernia addominale strozzata” e la responsabilità sarebbe quindi in capo “ai sanitari che l’hanno avuta in cura all’ospedale di Cuorgnè”. I familiari, che si sono costituiti parte civile con l’avvocato Enrico Scolari chiedono giustizia, certi che una maggiore premura avrebbe potuto evitare il dramma. La difesa sostiene tutt’altro attraverso il parere dei suoi due consulenti Lorenzo Varetto e Paolo De Paolis, quest’ultimo primario di Chirurgia al Gradenigo di Torino. “Personettaz - dicono - ha fatto tutto ciò che un buon chirurgo, in quelle circostanze, dovrebbe fare”. Come capita in questi casi non sarà semplice capire dove sia il confine tra la fatalità o l’eventuale noncuranza del personale medico. Sarà il giudico Ludovico Morello a doverlo trovare. Andiamo con ordine e ripercorriamo i fatti. La pensionata si era recata d’urgenza, quel pomeriggio, all’ospedale di Cuorgnè, suggerita dal medico di famiglia Giuseppe Bessolo. Lamentava forti dolori addominali causati da un’ernia. Al Pronto Soccorso i sanitari avevano definito il suo problema come un "codice giallo", ossia intermedio. Ciò nonostante la donna, dopo alcuni esami clinici ed una radiografia, era stata dimessa con un "codice verde", cioè non grave, con una motivazione inveritiera secondo i parenti, come avevano denunciato già davanti al giudice per le udienze preliminari: ovvero non ci sarebbero stati sufficienti posti letti. I medici avrebbero comunicato d'aver risolto il problema, provvedendo a far rientrare manualmente l’ernia all’addome attraverso una manovra di strozzatura. Poche ore dopo, però, giunta a casa, Ida Berta non si era sentita bene. Non c’era stato più il tempo di tornare all’ospedale. Il suo cuore aveva ormai smesso di battere. Già l’autopsia aveva rilevato che il decesso fu causato da un infarto intestinale conseguente all’ernia addominale strozzata, per cui sarebbe bastata una tac addominale. La difesa dell'imputato punta invece a dimostrare che venne fatto tutto l'indispensabile.
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