“Per un imprenditore di questo calibro, a capo di un’azienda che in Italia dà lavoro a 250 occupati, e ad altri 800 nel mondo, dal grosso fatturato, trovarsi a processo per mille euro è, oltre che ingiusto, anche offensivo”. Con queste parole l’avvocato Luca Fiore ha improntato la sua arringa difensiva, venerdì scorso, nel difendere Michele Cinotto, 57 anni, amministratore della Sata, e Paolo Motto, 46 anni, altro responsabile dell’azienda di Valperga, dalle gravi accuse di falso e di truffa. E ha avuto ragione: lo stesso Pubblico Ministero Emanuele Bosio ha chiesto l’assoluzione. E la sentenza di assoluzione perché “il fatto non sussiste” è stata pronunciata dal giudice Maria Claudia Colangelo del Tribunale di Ivrea. Cinotto e Motto, del resto, era finito nei guai per un cambiamento di opinione, se così si può dire, dell’Agenzia delle Entrate, al riguardo di un sostanzioso progetto di ricerca e sviluppo, presentato nel 2008 e riconosciuto dal Ministero, per un investimento da 656mila euro per cui sarebbe stato riconosciuto un credito di imposta del 10 per cento, e quindi di 65mila euro. Peccato che, nel settembre 2011, l’Agenzia delle Entrate acquisisce tutta la documenta e sentenzia: “non è un progetto rivolto all’innovazione ma all’aggiornamento dei vostri processi produttivi” e contesta l’impiego di “personale in ferie”. Quindi dice, in sostanzia, “non vi riconosco nulla, di più: siete dei truffatori”. Ancora dopo l’Agenzia riconosce 546mila euro con un credito di imposta, quindi, stando sempre alla percentuale, di 54mila euro. Ecco perché, in questo pastrocchio, alla fine rimangono sul tappeto mille euro, quelli contestati in tribunale. “Non è vero, in primo luogo - ha ribattuto l’avvocato Fiore - che si trattasse di personale in ferie ma di personale in trasferta, in Cina, per esempio, perché l’attività non era svolta solo a Valperga ma anche all’estero. “La Sata non è l’ultima bottega e già di per sé è improbabile che un’azienda capace di movimento così tante risorse, umane ed economiche, possa mettersi nei guai per una somma di mille euro. Questo processo è frutto della pervicacia con cui l’Agenzia delle Entrate, e la Procura di Ivrea poi, hanno voluto perseguire il fatto. Abbiamo celebrato un processo con costi pubblici davvero gettati dalla finestra”.
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