Non fu solo un furto. La sottrazione delle antiche lastre in pietra all’ingresso dell’ex collegio salesiano ha lasciato vandalizzata la struttura, semi distrutto il suo ingresso: la privazione di un pezzo di sfolgorante storia, tutelata dalla Sovrintendenza ai Beni Architettonici, che fa stringere il cuore. Eppure i responsabili di quella bravata non sono stati ancora puniti. Ma i sospetti si sono fatti largo ben stretto in seguito ai fatti di quell’estate di due anni fa quando, non solo a Lanzo, ma anche in altri comuni del Canavese, si registrò un’ondata di furti presso chiese ed edifici antichi e religiosi che mise sull’altolà le forze dell’ordine. Oggi, sul banco degli imputati, presso il Tribunale di Ivrea, per l’episodio avvenuto a Lanzo il 12 agosto del 2014, si trova Fabio Miccoli, 35 anni, residente nel paesino del ciriacese. A portare sulle sue tracce fu lo sguardo acutissimo e la memoria di ferro di un anziano del posto, Danilo Molinar. Ieri mattina si è presentato in aula, chiamato a testimoniare. Ha un nome e un volto, dunque, l’ “informatore anonimo” a cui facevano menzione i carabinieri nel raccontare come partirono e si articolarono le indagini. Molinar, 64 anni, residente a Balangero, quel giorno si trovava immerso nella sua consueta passeggiata quando la presenza insolita di alcuni ragazzi attirò la sua attenzione. “Ce n’era uno che faceva finta di orinare, un altro che mi dava le spalle ed un altro che ho appena intravisto - ha riferito in aula, rispondendo alle domande del Pm Gianluca Dicorato -. Vicino a loro, una Clio di colore chiaro ma indefinito e con un segno tribale sul dietro. Erano le 14,30, io stavo camminando e ho capito che non erano lì per fare opere di bene”. Poi, significativa coincidenza, mentre rientrava dalla passeggiata, “li ho visti andare via, mi hanno sorpassato sull’auto e sembrava che stessero per decollare tanto erano carichi”. Lì per lì Molinar aveva avuto l’intuito e la velocità di annotare la targa sul suo telefono in una nota che poi mostrò alla stazione dei carabinieri. Non riuscì anche a scorgere o meno se ci fossero carichi su quel mezzo ma fotografò bene nella testa il volto di un ragazzo, il Miccoli, appunto, riconosciuto, con una sicurezza “del 100 per cento” nelle foto che gli furono sottoposte in caserma. La refurtiva consistette in tre lastre di pietra di due metri ciascuna. “Ovvero i tre gradini della rampa che dal salone Don Puppa porta alle balconate alte” ha illustrato, al giudice Elena Stoppini, un altro testimone, l’architetto Mauro Enrico Prete. Fu lui a sporgere denuncia circa un mese più tardi, dopo i sopralluoghi. La testimonianza dei carabinieri ha invece permesso di analizzare i movimenti avvenuti in quei giorni tra il telefono di Miccoli ed altri numeri di altri indagati. Ieri doveva essere sentita anche la Polizia Municipale ma, dei quattro vigili citati, non se n’è presentato nemmeno uno. Così la Stoppini, esterrefatta dal senso di responsabilità degli agenti, ha deciso di rinviare il processo al 3 novembre per sentire il commissario Spacca. Se non si presenterà, disporrà l’accompagnamento coatto.
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