No. Il sindaco Pier Luigi Bot Sartor non ha fatto tutto quello che poteva. Di sicuro non ha informato alla popolazione e nemmeno l’opposizione. Già nell’aprile del 2014, e poi nell’aprile del 2015, il gruppo composto da Adriano Grassino e Paolo Puppato presentava una serie di interrogazioni. Chiedeva sopralluoghi, rilevazioni fotografiche. Non ha mai ricevuto notizie in merito. Inoltre aveva sollecitato il primo cittadino a mettere in campo tutti i provvedimenti atti a prevenire l’insediamento della Darkem presso lo stabilimento della ex Interchimica, a pochi passi dalle abitazioni, nell’area artigianale di località Beria. Chiedevano di firmare un’ordinanza. Poi, per carità, con ogni probabilità l’azienda avrebbe ricorso. Ma intanto l’arrivo sarebbe slittato di diversi mesi, tutto il tempo utile per dialogare con gli enti di controllo competenti e pretendere le dovute garanzie ed autorizzazioni. Un suggerimento che era caduto nel vuoto. Bot Sartor non ne aveva voluto sapere. “Non posso farlo finché non avremo informazioni certe sulla attività”. Risultato: oggi, all’indomani dell’esplosione, si ricorre una serie infinita, tra gli abitanti sgomenti ed inferociti, di “si poteva prevedere” e “lo sapevamo”. Eppure l’articolo 50 del Decreto Legislativo 267/2000 è cristallino: “il sindaco - dice - è responsabile dell’amministrazione del comune” e, tra le altre cose, “adotta le ordinanze contingibili e urgenti in caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica a carattere locale”.Grassino e Puppato lo hanno rammentato, venerdì 24 giugno, nel corso del consiglio comunale convocato, su loro richiesta del 4 giugno. Venti giorni fa, tanto ci è voluto perché Bot Sartor si decidesse ad accogliere la richiesta di una seduta dedicata alla Darkem. Cominciata alle 17, la seduta si è protratta fino alle 19 nel locale di vicolo Gaio. Una folla di spettatori che mai si è vista in altre occasioni. “Perché il sindaco ha lasciato passare due anni per intervenire?” è andato dritto al sodo Grassino. Bot Sartor ha tergiversato e tergiversato. Riparandosi dietro una giustificazione suonata quanto meno assurda e ad un atteggiamento parso quanto meno omertoso: “mi avevano detto di non interessarmi, avevo le mani legate..” ha continuato a ripetere senza dire né il chi né il quando né il come. Ed è vero che l’Ufficio Tecnico aveva svolto un paio di sopralluoghi. Non era emerso nulla a discapito dell’autorizzazione concessa per il solo deposito e non per la produzione. Se non che il proprietario, contattato, aveva rassicurato che si sarebbe rivolto ad un professionista ma “ad oggi non è ancora arrivata alcuna pratica edilizia”. Solo successivamente ad una telefonata anonima arrivata in Municipio era emersa la “presenza di crepe con pericolo di crollo”. L’unica ordinanza emessa riguardava del materiale caduto dalla struttura a causa delle continue piogge. PUPPATO: “ATTACCA ME MA NON I VOLONTARI DELLA CROCE VERDE” Fine della discussione. “Dovete dirmi se siete soddisfatti o no” ha incalzato Bot Sartor, senza curarsi del pubblico in sala che avrebbe voluto sentire di più. E l’ostinazione della minoranza ad ottenere risposte ha fomentato anche alcuni commenti astiosi fra i due gruppi. “E meno male che non ci è scappato il morto altrimenti avreste strumentalizzato anche quello” si è lasciato scappare l’ex assessore Sandro Francesconi, scaturendo la reazione di Puppato. “Voi giocate quando rispondere un anno dopo alle nostre interrogazioni” ha inveito quest’ultimo. Bot Sartor ha avuto persino l’ardire di attaccare la Croce Verde Bessolese perché non era presente quella sera. “Il sindaco - ha reagito Puppato, che è anche presidente dell’associazione - cerca di strisciare e di fare il giro largo ma non può puntare il dito sull’associazione: che attacchi pure Puppato, ma non i volontari”. Venerdì Puppato e Grassino, dopo un confronto di alcuni minuti con la sospensione del consiglio, hanno deciso di ritirare la mozione di sfiducia presentata nei confronti del sindaco per dimostrare quanto il tema sia la sicurezza dei cittadini e non l’attacco politico fine a se stesso. “La ritiriamo - hanno fatto presente - ma non escludiamo di riproporla se la questione non dovesse venire gestita in modo adeguato a tutela degli scarmagnesi”. Chiedono che il comune esegua un’attività di carotaggio per avere dati certi sulla eventuale contaminazione del suolo e delle falde acquifere. E che dalle tasche del comune non esca un euro per riparare al danno. “Il comune - hanno sottolineato - deve pretendere che sia chi ha causato il danno ponga rimedio”. A questo proposito sarebbe gi à stata individuata, per le analisi, la ditte Teolab di Leinì e la Beta, proprietaria dell’immobile gestito dai D’Arco titolari della Darkem, avrebbe già affermato la propria disponibilità per la messa in sicurezza dell’immobile per un costo di 100mila euro.
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