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IVREA. Parla la difesa a processo Olivetti,assolvete De Benedetti

"Assolvete Carlo De Benedetti da tutti i capi d'accusa". E' terminata così, oggi, l'arringa dell'avvocato Tomaso Pisapia in difesa dell'Ingegnere, imputato a Ivrea nel processo per le morti da amianto fra gli ex operai Olivetti. Insieme alla collega Elisabetta Rubino, il penalista ha parlato in una angusta saletta del tribunale eporediese (alcuni giornalisti sono rimasti fuori perché non c'erano più posti a sedere) per allontanare da De Benedetti lo spettro della condanna a sei anni e otto mesi chiesta dai pubblici ministeri.

L'Ingegnere deve rispondere di omicidio colposo (ci sono altri sedici imputati, fra cui il fratello Franco Debenedetti e l'ex ministro Corrado Passera) in qualità di amministratore delegato e presidente del cda dal 1978 al 1996. Ma secondo Pisapia ci sono "dubbi enormi" sulle responsabilità effettive di De Benedetti. La difesa, all'udienza di oggi, ha calato i suoi assi. Fra le 14 mila pagine che gli avvocati hanno recuperato due mesi fa negli archivi Telecom figurano 58 procure notarili siglate nel 1980 ad altrettanti dirigenti incaricati di provvedere alla gestione e alla manutenzione degli ambienti di lavoro. "Incarichi veri, non fittizi. I procuratori potevano spendere fino a un miliardo di lire. E se necessario anche di più". "Non c'è un solo atto - dice Rubino - da cui emerga che De Benedetti si sia disinteressato del problema. Il fatto è che le mansioni erano decentrate". "I capi di imputazione - rincara Pisapia - sono stati costruiti come se l'Olivetti fosse una ditta di 50 dipendenti in cui il presidente conduce le ispezioni di persona e si occupa delle mascherine di protezione". "Sono accuse che ricordano Flaiano - filosofeggia                 un altro avvocato, Cesare Zaccone - quando dice che a volte i piedi sono ben piantati fra le nuvole". Sempre secondo Pisapia, la procura ha sbagliato persino ad affermare che nei cicli di lavorazione si sia usato talco contaminato dall'asbesto: era "innocuo" talco della Val Chisone.

Dallo scontro fra accusa e difesa sono emersi due ritratti differenti della Olivetti. Per la procura, in epoca debenedettiana l'azienda non era più quella di Adriano Olivetti, un modello di fabbrica 'dal volto umano' studiato dai sociologi e famoso quasi quanto le macchine per scrivere che sfornava.

Nonostante la quantità di amianto annidato negli stabilimenti, bonifiche e riparazioni partivano in ritardo. E le strutture che si occupavano di ambiente e salubrità non erano davvero operative. Conseguenza: nove casi di morte (con le responsabilità spalmate a vario titolo sugli imputati) più due di lesioni.

"Non è vero - è stata la replica - Anche negli anni Ottanta la filosofia di fondo non cambiò. Il lavoratore restò sempre al centro. E la sua sicurezza restò ben presidiata. Cinque anni prima dell'entrata in vigore della legge anti-amianto del 1991 erano già stati prese delle iniziative per contrastare il fenomeno. I monitoraggi ambientali erano continui e i sindacati erano costantemente consultati". "De Benedetti - è ha concluso Pisapia - è un signore di 82 anni, venti dei quali spesi a Ivrea dove prese un'azienda decotta e per portarla da mille a diecimila miliardi di fatturato. E' un incensurato. Eppure la procura non ha nemmeno invitato il giudice a concedergli le attenuanti generiche. Solo per evitare la prescrizione?".

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