Assunto in nero dal comune, non avrebbe soltanto svolto lavori di manutenzione sul territorio comunale. Luigi Aresu veniva impiegato in attività di pulizia anche nelle proprietà private di Sindaco ed assessori. E’ proprio lui, il 67enne senzatetto di Ozegna a raccontarlo. Lo ha raccontato davanti al giudice (che ha condannato il comune alla rifusione di un risarcimento da 40mila euro al termine di una causa durata tre anni) e lo ribadisce al nostro giornale. Anche perché la battaglia giudiziaria non è ancora finita: malgrado la condanna, Aresu non ha ancora ricevuto quanto gli spetta in base alla sentenza. Si aggiunge la rabbia nel leggere le dichiarazioni del sindaco uscente Enzo Francone, il quale, ereditata la causa dal suo predecessore Ivo Chiarabaglio, difende comunque a spada tratta l’ente. “Trovo incredibile - dice Aresu - che l’attuale sindaco abbia avuto il coraggio di dichiarare pubblicamente che sarei stato io a richiedere aiuto al Comune, ancora più incredibile ed offensivo leggere che secondo il sindaco la mia condizione di “senza tetto” sarebbe una mia scelta di vita. Non ho scelto di vivere per strada e soprattutto non ho mai voluto lavorare in nero ed essere offeso e maltrattato. Mi sento preso in giro a leggere le parole del sindaco Francone, che dichiara che il Comune mi ha aiutato e che io dovrei essergli grato. Come posso essere grato a chi viola le tutele dei lavoratori e mi ha sfruttato per anni?”. Arreso, insomma, non deve ringraziare nessuno. “L’unico aiuto che ho ricevuto in anni di sofferenze - aggiunge lui - è stato quello dei servizi sociali prima della causa e poi del sindacato e del mio avvocato Manuel Peretti, che hanno permesso di far sentire la mia voce e quella dei cittadini di Ozegna che, spinti da dovere civico e correttezza, loro si, hanno descritto in Tribunale cosa accadeva ad Ozegna Mi sento ancora una volta preso in giro a leggere che il Comune mi avrebbe aiutato a soddisfare i miei vizi’, ma quali vizi? Non ho nemmeno di che mangiare, di che vivere. Mi davano 150 euro al mese per otto ore di lavoro 365 giorni all’anno, oltre a mille rassicurazioni che assessori e sindaco mi hanno fatto negli anni ed intanto dovevo andare a fare il giardiniere dell’assessore, piuttosto che del sindaco, dovevo fare la manutenzione del cimitero, pulire le strade, le aiuole, mentre il cantoniere Comunale regolarmente assunto se ne stava al bar”. Stupisce anche che Francone non spenda una parola in difesa di Aresu, che abbia preferito portare avanti una causa che, se troncata sul nascere, con il riconoscimento del compenso dovuto, sarebbe costata poche migliaia di euro. Proprio lo stesso Francone che a questa tornata non si ricandiderà, deciso a farsi da parte di fronte all’indigesta alleanza tra Chiarabaglio ed alcuni suoi colleghi di suoi colleghi di maggioranza. “Ora leggo le parole del sindaco Francone che dipinge il Comune come un gruppo di benefattori, non ho parole! - aggiunge ancora Aresu -. Sono stupito ed ancora una volta mi sento amareggiato da chi dovrebbe essere un esempio per tutti ed invece ha approfittato di me. E intanto la sentenza dice che devo essere pagato, ma il Comune non paga, non rispetta nemmeno la sentenza perché per me i soldi non ci sono, ma ci sono per pagare sanzioni e spese per gli avvocati del Comune”. I fatti risalgono al periodo tra il luglio del 2008 al settembre del 2010. Il senzatetto, come ha raccontato davanti al Tribunale, aveva eseguito per due anni piccoli lavori di manutenzione sul territorio, come giardinaggio, viabilità alle scuole, piccole manutenzioni, in cambio di una paga misera (circa 5 euro l’ora), che veniva data in un modo anomalo. Il comune avrebbe versato dei contributi all’associazione Aib, coordinata peraltro dall’assessore all’agricoltura Bruno Germano. E l’Aib, a sua volta, ne avrebbe data una parte ad Aresu, come rimborso spese. La vicenda, al di là del piano umano e della lesione accertata dei diritti del lavoratore, è ancor più grave se si pensa che le sanzioni e tutte le spese legali dovranno essere pagate con soldi pubblici. Aresu attende ora il versamento di quanto dovuto e riconosciuto dal Tribunale e nel frattempo è costretto a ricorre all’assistenza della Caritas per poter sopravvivere.
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