E' stato condannato a sei anni di reclusione per Antonio Gagliardi, 48 anni, pugliese di origine ma sangiorgese d'adozione, detto "Il Nino", già agli arresti domiciliari e alla sbarra per il reato di estorsione con l'aggravante della modalità mafiosa ai danni dell'imprenditore ed ex vicesindaco di Cuorgnè, Mauro Aira. Una condanna più leggera rispetto ai nove anni richiesto dal Pubblico Ministero, pronunciata venerdì scorso dal giudice Ludovico Morello. Secondo la Procura della Repubblica di Ivrea, Gagliardi avrebbe fatto il doppio gioco e sarebbe emerso grazie a delle intercettazioni. Da un lato avrebbe dichiarato di collaborare con la giustizia, di voler aiutare i carabinieri a prendere alcuni pregiudicati dell'altro canavese. Dall'altra si sarebbe schierato al fianco di altri pregiudicati (Giovanni Catizone e Donato Macrì, già processati con patteggiamento) nella messa in scena di ricatti e minacce verso Aira, ed inscenando anche una rapina della abitazione di Cuorgnè. Il capo di imputazione è piuttosto cospicuo e ripercorre diversi fatti risalenti al 2013 ma la condanna è riferita ad un unico episodio, l'unico ritenuto provato dal giudice, relativo alle minacce che Aira avrebbe subito affinchè consegnasse 150mila euro in contanti con un piano studiato nei minimi dettagli al Gagliardi, che per l'imprenditore lavorava e di cui cui era "uomo di fiducia". Gagliardi gli aveva raccontato di aver ferito un esponente della criminalità organizzata calabrese, facente parte della "locale" di Cuorgnè, indicato in Nicodemo Ciccia, mettendolo in guardia da eventuali ritorsioni dall'ambiente dell' 'ndrangheta. Lo aveva quindi messo in contatto con Macrì, presentandolo come Angelo Ajello, un intermediario. A questo punto Macrì e Catizone si sarebbero recati in località Rivarotta per appiccare il fuoco ad un deposito di mezzi agricoli dell'imprenditore, in modo da alimentare il clima di paura. Assoluzione per tutti gli altri capi. Riferiti, per esempio, a quanto accadde la notte del 6 luglio, quando alcuni uomini si sarebbero intrufolati, mascherati con dei passamontagna, nell'abitazione di Aira, a Cuorgnè in frazione Salto, e gli avrebbero puntato una pistola contro, che poi si sarebbe rivelata una scacciacani per farsi aprire la cassaforte. Si sarebbero susseguiti altri atti intimidatori, l'incendio all'automobile, telefonate. Non è stata ritenuta nemmeno provata l'estorsione che avrebbe permesso di ottenere 10mila euro, da consegnare, in contanti, a Dante Fuoco, giovane residente a Rivarolo, finito anche lui a processo e assolto. "Fin dal primo minuto, in questo processo, abbiamo sostenuto che Fuoco fosse ignaro di tutto" sottolinea il suo avvocato Franco Papotti.
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