Dopo Domenico Quirico, giornalista della Stampa, inviato di guerra, rapito in Siria il 9 aprile del 2013 e liberato l'8 settembre (dopo cinque mesi di sequestro, grazie ad un intervento dello Stato Italiano), ospite in sala Santa Marta a Ivrea esattamente un anno fa, mercoledì sera un'altra penna illustre è stata in città per raccontare il Califfato. Sala gremita per Maurizio Molinari, dal gennaio scorso nuovo direttore del quotidiano nazionale torinese (ha preso il posto di Mario Calabresi, passato a dirigere “La Repubblica”), già corrispondente dagli Stati Uniti e da Gerusalemme, esperto di questioni mediorientali. Il direttore, inviatato dal Forum Democratico del Canavese, ha presentato il suo nuovo lavoro, “Jihad. Guerra all'occidente”, nel quale disegna una mappa dettagliata del fenomeno jihadista, raccontando la galassia di gruppi, cellule e tribù rivali tra loro, ma accomunate dal disegno della guerra santa, che sono dislocate nei novemila chilometri tra Tangeri e Peshawar. "Il detonatore – racconta Molinari nel suo libro - è il disegno apocalittico di Abu Bakr al-Baghdadi, attorno al quale ruotano le sfide fra due rivoluzioni islamiche, cinque potenze regionali di Medio Oriente e Nordafrica, dozzine di grandi clan tribali e una miriade di gruppi armati e sigle terroristiche in gara fra loro per ottenere il controllo di spazi strategici, risorse energetiche, vie di comunicazione, luoghi di culto e grandi città lungo un fronte di combattimento disseminato di micro-conflitti che si snoda senza interruzione dalle montagne dell’Afghanistan alle coste del Marocco, passando attraverso lo Stretto di Hormuz, il Corno d’Africa e il Sahel. È una guerra che divora gli Stati post-coloniali del Novecento: Siria, Iraq, Libia e Yemen hanno cessato di esistere perché non hanno più governi, parlamenti, amministrazioni pubbliche e confini condivisi; Libano, Giordania, Tunisia e Bahrein temono di subire la stessa sorte; i giganti regionali Turchia, Arabia Saudita, Egitto e Iran hanno l’incubo di frammentazioni mortali". Secondo Molinari l'Occidente può rispondere in un solo modo: "non c'è forza più grande della libertà – ha ribadito in Santa Marta -. Credo chela battaglia di tutti debba cominciare dallo studio e dall'approfondimento". Tra il pubblico c'è chi ha domandato come allora si spieghino i kamikaze della terza generazione, i foreign fighters che decidono di rinunciare alla loro libertà, perché nuove generazioni ed immigrati vengono contagiati dalla Jihad, ossia dalla guerra santa per l'espansione dell'islam al di fuori dei confini del mondo musulmano. Molinari ha portato l'esempio di una responsabile della polizia femminile che gestisce le schiave date in pasto ai Jihadisti. Com'è possibile che una ragazza di 24 anni, cresciuta in Scozia e figlia di immigrati che hanno avuto successo nella terra di adozione, compia questa scelta? "Perché – risponde il direttore de La Stampa – vedono sul web le immagini di violenza sanguinosa e ripugnante e si identificano in esse, in chi produce dolore. Dicono: io voglio essere quello che taglia la testa e non quello la cui testa viene tagliata. L'identificazione è la genesi prima del totalitarismo. Pensiamo alla notte dei lunghi coltelli, fu la genesi del nazismo. E' agghiacciante ma sono i contesti in cui questa dinamica terrificante si realizza". La differenza? Che il nazismo non aveva presupposti religiosi, la Jihad sì. A riemergere è anche l’identità tribale di una regione dove le potenze coloniali europee, dopo la Prima guerra mondiale, imposero la nascita di Stati arabi con confini artificiali, basata su costumi delle tribù del deserto, presi e reinterpretati dai conquistadores musulmani perché non c'è scritto, per esempio, da alcuna parte, nel Corano, che le donne debbano portare il chador. In questo contesto l'Arabia Saudita avrebbe responsabilità di tipo teologico pe rl'origine del pensiero salafita, scuola di pensiero sunnita che vuole affrancare il mondo islamico dalla sua sudditanza nei confronti dell'Occidente che si batte per il recupero di un Islam "puro", e per questo accusa di scissione (asse portante di questa guerra) gli sciiti, ramo minoritario dell'Islam il quale ammette che alla suprema carica islamica potesse accedere un qualsiasi credente e che si configura nell'alleanza tra la Repubblica Islamica nell'Iran di Khamenei e il regime di Assad in Siria per consolidare il controllo di uno spazio geografico ininterrotto, da Baghdad a Beirut. Non sempre si tratta di sunniti contro sciiti, perché c’è anche un conflitto interno fra sunniti per la gestione del potere. Il risultato è una guerra a macchia d'olio. In quanto agli immigrati ne esistono due tipi: chi fugge dalla povertà, da Ghana, Costa D'Avorio, Sudan, Nigeria.., e chi fugge dalla guerra, da Libia o Iraq.. Cercano, quindi, prosperità o sicurezza. Ma da dove trae tanta forza il Califfato? In primo luogo, come ha spiegato l'autore, dalla vendita del greggio e dalle antichità saccheggiate, che valgono due terzi delle ricchezze del Califfato e lasciano per altro intendere la qualità del personale tecnico; in secondo luogo dai sequestri che non sono i più appariscenti che si vedono in tv ma riguardano i capifamiglia delle tribù; in terzo luogo dalle tasse in forma di dazi e nella logica dei clan le famiglie pagano per non aver problemi. Significa il controllo dell'economia locale che fa del Califfato una forza più grande di Al Qaeda, il movimento terroristico sunnita nato nel 1989, ai tempi dell'invasione sovietica dell'Afghanistan, guidato da Bin Laden fino alla sua morte nel 2011. "Dobbiamo essere – ha concluso Molinari – cauti e prudenti perché siamo agli inizi di una fase storica di rivoluzione del mondo musulmano e non possiamo sapere quanto potrà durare, sperando che predominino i moderati. Come minimo dobbiamo iniziare a difenderci". Molinari ha raccontato di alcuni suoi incontri con famiglie islamiche di kamikaze. "Cosa si può dire- si domanda lui stesso - ad una madre che sorride e ti porta dolci per festeggiare il figlio, 'martire', che si è fatto esplodere su un bus. Allora ci si accorge di non avere gli strumenti culturali perché l'amore per la violenza supera la nostra capacità di comprensione".
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