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IVREA. Olivetti: sfilano i testi della difesa De Benedetti non c’entra

Giovedì scorso, nell’aula del liceo Gramsci trasformata in tribunale, alla ripresa del  processo che dovrà far luce sulla morte di 12 ex lavoratori (altri 2 sono tuttora malati)    a causa dell’esposizione alle fibre di amianto, è stata la volta dei testi prodotti dalla difesa dell'ingegnere Carlo De Benedetti. Dal 23 gennaio dello scorso anno  residente a Sankt Moritz in Svizzera, difeso dall'avvocato Tomaso Pisapia, l’Ingegnere, o  “lo Svizzero” come qualcuno lo chiama adesso, si trova imputato, insieme ad altri 17, perchè fra il '78 ed il '96, in Olivetti, ricoprì la carica di amministratore delegato e presidente. Per tutta la giornata si è cercato di dimostrare che con lui alla guida dell’azienda non ci furono mai tagli alla sicurezza. Nessun taglio pur di fronte a condizioni economiche difficili. Nessun taglio e addirittura un maggior impegno attraverso il  Sols (Servizio organizzazione sicurezza sul lavoro, costituito nel '66), la Commissione permanente sicurezza e il Comitato aziendale ecologia. Insomma l'ingegner Carlo De Benedetti, o se sei preferisce lo “svizzero” e i suoi collaboratori avrebbero fatto tutto il possibile per proteggere i lavoratori in base agli strumenti ed alle conoscenze disponibili all'epoca. “Con l'ingegnere Carlo De Benedetti ci fu una "maggiore responsabilizzazione" dei dirigenti dei vari settori per la sicurezza...”, ha riferito Pierluigi Ferrero, incalzato dal giudice Elena Stoppini. E Pierluigi Ferrero,  dal 1966 al 1987 dirigente nel settore amministrazione e controllo ha anche ricordato che: “i budget da investire per la sicurezza e tutela dei lavorati erano stabiliti su proposta delle singole funzioni in un processo dialettico con il livello centrale”. E poi ancora:?“Ricordo una riunione durante la quale l’ingegnere fece un richiamo forte ad una maggiore responsabilità” Sulla stessa lunghezza d’onda Alberto Pichi, 81 anni, di Ivrea dal '58 al '92 impiegato all’ufficio del personale nello stabilimento di Scarmagno e Pierluigi Lagna, 55 anni, di Cavagnolo ex del Sesl (Settore Ecologia e Sicurezza sul Lavoro) “In Olivetti - ha detto Lagna rispondendo ad una domanda dell’avvocato Pisapia - era stata creata una struttura gerarchica su vari livelli per decidere su spese e direttive da intraprendere. In azienda avevamo addirittura delle schede di precauzioni d'uso su ogni impianto, proprio per la tutela dei lavoratori...”. Tra i tanti “non so” e “non ricordo” ha stupito un po’ tutti la chiarezza espositiva di Emilio Fossati entrato in Olivetti nel 1973. “Quando arrivò De Benedetti  - ha dichiarato - la situazione dell’azienda era drammatica dal punto di vista finanziario, vi era un indebitamento colossale». L’ingegnere mise mano all’organizzazione del lavoro, affrontò problemi delicatissimi, anche in tema d sicurezza: «A differenza di quanto fece nei due anni precedenti in Fiat, dove adottò modalità riorganizzative più aggressive, alla Olivetti adottò un sistema più graduale”. Chiaro a tutti l’obiettivo della difesa: dimostrare la complessità di un’azienda che in quegli anni aveva 70 mila dipendenti, più livelli dirigenziali, deleghe e fuzioni precise anche in tema di sicurezza. Tutto assolutamente in linea con quanto a più riprese sostenuto dallo stesso De Benedetti attraverso il portavoce. “La corposa indagine dei Pubblici Ministeri,  si basa su mere ipotesi come dimostra il coinvolgimento di persone che non avevano alcuna responsabilità operativa nella società - aveva scritto e detto il il 5 ottobre dello scorso anno  - Nel periodo di permanenza in azienda, De Benedetti ha sempre prestato la massima attenzione alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, con misure adeguate alle normative e alle conoscenze scientifiche dell’epoca”. Al contrario l’inchiesta della Procura eporediese disegna, per la storica fabbrica di macchine da scrivere fondata nel 1908 da Camillo Olivetti e poi diventata un’industria di elettronica e informatica, un panorama di violazioni infinite nelle norme in materia di sicurezza. E secondo il procuratore di Ivrea, Giuseppe Ferrando l’amianto si annidava nel talco utilizzato per il montaggio degli apparecchi,  fra le tubature a vista e i rivestimenti di pareti e soffitti.  La manutenzione non era accurata e i lavoratori non avevano i necessari mezzi di protezione. Non si ammalarono soltanto operai, elettricisti, addetti alla verniciatura o ai trattamenti termici: c’è anche il caso (lesioni colpose) di Bruna Luigia, impiegata amministrativa, colpita da un mesotelioma “insanabile”. Fra gli imputati ci sono, oltre a Carlo De Benedetti, anche il fratello Franco, l’ex ministro Corrado Passera e, con la sola accusa di lesioni colpose, l’imprenditore Roberto Colaninno.    

Carlo De Benedetti:politica, finanza e impresa

    Non è mai sceso ufficialmente in politica e la storia dell’iscrizione al Pd con la tessera numero 1 è stata da lui stesso definita una leggenda. Eppure Carlo De Benedetti non ha mai fatto mancare i suoi giudizi taglienti su personaggi e scelte dei vari governi e nell’immaginario collettivo è considerato l’eterno avversario, forse il principale, di Silvio Berlusconi: da un lato il Lodo Mondadori, che lo ha visto contrapposto al Cavaliere in una lunga disputa giudiziaria, dall’altro l’avventura editoriale con La Repubblica, accusata per anni da Forza Italia di essere il vero partito d’opposizione.
De Benedetti De Benedetti
De Benedetti è questo, ma anche molto altro. Durante cinquanta degli ottanta anni che ha compiuto il 14 novembre scorso, ha segnato la storia imprenditoriale italiana, iscrivendosi tra gli uomini d’affari più influenti del Paese. L’Ingegnere, come è chiamato per il suo titolo di studio, non è identificabile con un solo settore, perche’ e’ stato l’Olivetti, la telefonia mobile con Omnitel quando questa era ancora avanguardia, ma anche l’industria tradizionale con la componentistica auto e quella dell’era internet con le varie attivita’ avviate negli anni Novanta fino all’ingresso nell’energia. L’avventura editoriale è centrale nella sua vita, tanto che nel 2009, quando decide di lasciare tutte le cariche delle sue imprese, consegnandole in mano ai figli, mantiene comunque un ruolo, anche formale, nel Gruppo Espresso e assicura che quell’attività non sarà dismessa almeno fino a quando rimarrà in vita. Torinese, è naturalizzato svizzero: oltreconfine si trasferisce con la famiglia durante le leggi razziali (il padre era ebreo) e, quando decide di prendere la seconda cittadinanza, è accusato di farlo per ragioni fiscali, ma la circostanza è da lui sempre negata. Il debutto professionale avviene nel 1959 nell’azienda paterna, la Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili. Impresa valorizzata fino all’acquisizione nel 1972 della Gilardini, che De Benedetti guida fino al ’76 come presidente e amministratore delegato. Proprio in quell’anno diventa amministratore delegato della Fiat anche grazie all’appoggio di Umberto Agnelli. Una esperienza di soli quattro mesi, un rapido divorzio che sorprende e attira su di lui ancora di piu’ l’attenzione del mondo economico. Con la vendita della sua quota in Fiat, avuta in cambio del conferimento della Gilardini nel gruppo torinese, emerge quello che sara’ poi il cuore finanziario del suo impero, la Cir (Compagnie Industriali Riunite), di cui assume il controllo nel novembre del 1976. Gli investimenti della compagnia si diversificano rapidamente: ad esempio con la Sasib e l’Euromobiliare, una delle grandi finanziarie italiane. In quegli anni l’Ingegnere lega il suo destino a quello dell’Olivetti, una delle imprese italiane piu’ conosciute nel mondo, diventandone nel 1983 presidente e amministratore delegato. Non tutte le sue iniziative hanno successo: entra in Buitoni-Perugina e contratta nel 1985 con Romano Prodi l’acquisto dall’Iri del gruppo alimentare Sme. L’affare viene bloccato dalle forze politiche e sfuma. Guai arrivano anche per il rapido passaggio nel Banco Ambrosiano di Calvi. De Benedetti apporta capitali e viene nominato vicepresidente nel novembre 1981: dopo pochi mesi cede la sua quota ed esce. Anni dopo questo passaggio gli sara’ imputato in sede giudiziaria, dopo il crack del vecchio Ambrosiano. Altro epico scontro è quello legato alla guerra di Segrate per il controllo della Mondadori, scoppiata nel 1991 e spiegatasi anche nelle aule dei tribunali. Un conflitto che porta al riconoscimento del maxi-risarcimento di 500 milioni di euro alla Cir. Da quella guerra nasce la spartizione che segna la storia dell’editoria italiana con il Gruppo Espresso nelle mani di De Benedetti e la Mondadori nell’orbita di Berlusconi. Più di recente l’annuncio della fusione tra il Gruppo Espresso/Repubblica e Itedi il gruppo che controlla La Stampa.
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