Inaugurato il viadotto Marchetti, sulla Bretella Ivrea-Santhià. La Bretella, nonostante il nome, non serve a sorreggere le braghe, ma è un tratto di raccordo autostradale. Il viadotto, invece, presenta un corposo arco in acciaio, dotato di svariati pendini e, per questo, sembra proprio la gigantografia di un ammennicolo per il sostegno dei calzoni. Il nome del manufatto, pur rammentando il maschile di marchette, deriva dal toponimo di una limitrofa borgata di Pavone Canavese. L'arcone è alto 52 metri e, vista la presenza del Vescovo, è probabile che all'inaugurazione sia nato qualche fraintendimento parlando dell'Altissimo. Ad alcuni indigeni una simile opera, collocata nel mezzo dell'anfiteatro morenico, è parsa una scelta un poco fuori luogo, un'irrispettosa imposizione che denota più egocentrismo che sensibilità ambientale. In realtà è positivo che il cucciolo di arcobaleno sia ben visibile, così la mamma evita di perderlo al supermercato. Un viadotto sperso comporterebbe infatti gravi rischi per la circolazione. L'aspetto architettonico della struttura è stato particolarmente curato e richiama il profilo di una sinuosa collina. Una scelta mimetica di comprovata efficacia: nel Senese, nelle Langhe, sui Colli Euganei. Sfiga vuole che, nel caso in specie, sullo sfondo si stagli la Serra d'Ivrea, l'unica collina al mondo con profilo praticamente orizzontale, anziché curvo. Questo fa stridere un poco l'artificioso manufatto, ma è risaputo che ingegneria e sfiga sono eterne antagoniste. L'ubicazione del viadotto Marchetti non è casuale, è stato realizzato a Pavone proprio perché possa pavoneggiarsi. Anche le raffinate cromie che lo contraddistinguono sono scaturite da un'attenta valutazione. Per la sovrastruttura si è optato per l'evanescente tinta “cielo annebbiato 4 novembre” e, in effetti, se si verificano le condizioni di cui sopra, l'opera risulta praticamente invisibile. Tant'è che il taglio del nastro è stato fissato in altra data, proprio per evitare figuracce con un possibile viadotto fantasma. Per i fianchi della carreggiata si è optato per un più comune “verde lattuga del campo di barba Pinot”. Il faro di sommità, in “rosso ciliegia regina”, è diventato una stella polare per quanti navigano in notturna sulle temibili acque del vicino laghetto di pesca sportiva. Si segnala, inoltre, che il Pavone Canavese, pur disponendo di un castello tutto a merletti, era perennemente deriso dai maschi della sua specie, poiché incapace di fare la ruota. Il pennuto ha sempre vissuto con frustrazione la stagione degli amori, ma ora, grazie ad Ativa, può aspirare ad una sessualità attiva. Una ruota di 52 metri, sempre in tiro, è infatti un segno di virilità che non lascia scampo ai rivali. Presto il paesello comincerà ad accoppiarsi e a prolificare, estendendo a macchia d'olio i propri confini. Nel volgere di qualche anno, Torino sarà un sobborgo dormitorio di Pavonopoli; Ivrea lo è già. E' incredibile come qualche tonnellata di acciaio possa mutare le sorti di un territorio. Il viadotto Marchetti, coi suoi 256 metri di campata libera è un'opera da record e, sul piano ingegneristico e costruttivo, presenta delle peculiarità di innegabile rilievo che, giustamente, sono l'orgoglio di chi ha contribuito a vario titolo alla sua realizzazione. In sito si rileva tuttavia un'apparente incongruenza: subito dopo aver passato l'autostrada, le acque del rio Ribes sfociano in Chiusella e poi, per logica, dovrebbero continuare il loro percorso verso valle, defluendo sotto al ponte della strada provinciale. A meno che non decidano di farsi una capatina a Strambinello, colpite da un improbabile attacco di salmonellosi (quella malattia che affligge i salmoni e li fa andare contro corrente). Il ponte della Provinciale è posto poche centinaia di metri più a valle del viadotto Marchetti, è di recente costruzione, ed è sorretto da pilastri in alveo con interasse di qualche decina di metri. Sorge pertanto un dubbio spontaneo: servivano proprio quei 256 metri di luce libera, con conseguente catafalco di sostegno, o si sarebbe potuto realizzare un manufatto decisamente meno invasivo, semplicemente mettendo qualche pilastro? In un paio di convegni, sul Marchetti e sul nodo idraulico di Ivrea, è stata posta la questione. Ne sono seguiti palpabili silenzi o risposte a dir poco elusive e imbarazzate che, a loro volta, hanno insinuato qualche dubbio sul labile confine che potrebbe separare i modelli idraulici dai modelli idraulico-enologici. Comunque sia, il Marchetti è l'unico viadotto con la banana sopra e il rio Ribes sotto, praticamente un dessert di immani dimensioni che, secondo alcuni commentatori, potrebbe aspirare al Guinness dei primati. Non è difficile crederlo, visto che i primati sono particolarmente ghiotti di banane. Durante l'inaugurazione, il Sindaco della Città Metropolitana ha affermato che è pretestuoso che qualunque infrastruttura più grande di un tombino venga percepita come un rischio per l'ambiente e la qualità della vita. In parte ha ragione, ma forse non ha colto che ciò che disturba veramente la gente, non è tanto il tombino, quanto l'eventuale presa per il tombino. Nonno Piero, o il suo vice, essendo contitolari sia del viadotto (la Città Metropolitana è socia di Ativa), sia del ponte sul Chiusella (la Città Metropolitana è subentrata alla Provincia) forse sarebbero le persone più indicate per chiarire il dilemma, magari seduti piacevolmente in cremeria e gustando la nuova prelibatezza della gastronomia locale. I mastri gelatai eporediesi, ispirati dall'opera, hanno infatti messo a punto la coppa Marchetti: viadottino di gelato gusto crema che si estende in unica campata da una parte all'altra della coppa, asfaltatura a quattro corsie in liquirizia, gelatina di ribes sotto, banana glassata sopra, tiranti in marzapane, ciliegina a coronamento. E' diventata un oggetto di culto e ha offuscato persino i fagioli grassi, le miasse e la mitica torta 900. Richiama in loco più turisti del museo Garda, ed è un'ulteriore conferma di come una buona infrastruttura varia possa risollevare le sorti di un territorio.
Roberto Luccio
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