Mentre Rocco Schirripa, uno dei presunti esecutori materiali dell'omicidio del procuratore capo di Torino Bruno Caccia, si proclama "innocente" e vittima di un "fraintendimento", proseguono le indagini coordinate dalla Dda di Milano sul delitto avvenuto nel 1983. Indagini che, dopo l'arresto dell'uomo, si concentrano sulla Calabria, per individuare i vertici della 'ndrangheta che, all'epoca, autorizzarono o condivisero il progetto di Domenico Belfiore, il boss già condannato all'ergastolo per l'omicidio, di eliminare un magistrato 'scomodo'. Come emerge dagli atti dell'inchiesta, si tratta di "persone allo stato non identificate". Gli inquirenti sono però convinti che la decisione di commettere "un omicidio eccellente quale quello di un procuratore della Repubblica fosse stata preventivamente comunicata da Belfiore agli esponenti di vertice". Un'ipotesi che emerge anche da una frase pronunciata dal boss ("Quelli di là sotto lo sapevano quasi tutti") intercettata nelle scorse settimane dagli agenti della Squadra mobile di Torino, che hanno condotto l'inchiesta coordinati dal capo della Dda di Milano, Ilda Boccassini, e dal pm Marcello Tatangelo. Domenico Belfiore, dall'estate scorsa in regime di detenzione domiciliare per motivi di salute, oltre a progettare l'omicidio avrebbe sparato al procuratore, la sera del 26 giugno del 1983, sorprendendolo mentre portava a passeggio il suo cane. E a dare il colpo di grazia, secondo le ipotesi investigative, sarebbe stato proprio Rocco Schirripa. L'uomo è comparso stamani davanti al gip Stefania Pepe, per l'interrogatorio di garanzia, nel carcere milanese di San Vittore dove è detenuto. Prima di avvalersi della facoltà di non rispondere, ha ribadito la sua innocenza. "Non c'entro nulla con l'omicidio - ha spiegato al gip - le frasi intercettate sono state fraintese e sono pronto a fornire le mie spiegazioni". Schirripa, quindi, si è reso disponibile a farsi interrogare dal pm Tatangelo. Nei prossimi giorni il suo difensore, l'avvocato Basilio Foti, esaminerà gli atti anche in vista di un eventuale ricorso al Tribunale del Riesame per la scarcerazione. "Dobbiamo essere grati alle capacità degli investigatori se oggi si aprono nuovi scenari in merito alle responsabilità dell'assassinio del procuratore torinese Caccia", ha spiegato Gero Grassi, vice presidente del deputati del Pd e componente della Commissione d'inchiesta sulla strage di via Fani e l'assassinio di Aldo Moro. "Ma ciò che è stato davvero determinante è la caparbietà della sua famiglia - ha concluso - che non ha mai smesso di chiedere la verità".
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