“Lui aveva questa particolarità: amava tutti ed era molto disponibile, ma sapeva sempre come farsi rispettare. Si faceva capire, a gesti, ma si faceva capire. Era pieno di energie. Fino a due anni fa è rimasto completamente autosufficiente”. Venerdì, 10 luglio, alle 15, si sono svolti i funerali di Antonio Caramuta, noto a tutti come “Il mutino”, in piemontese “El mutin”. Aveva 80 anni, a settembre ne avrebbe compiuti 81. Del “mutino” la gente raccontava che fosse nato in Sicilia e che, da bambino, durante il tempo di guerra, una bomba scoppiatagli accanto l'avesse reso sordo, ma era una leggenda metropolitana. Antonio venne alla luce ad Acerenza, in Basilicata, da madre nubile, fu registrato il 1 settembre del 1934. Quando nacque, i medici gli riscontrarono una grave malformazione nel sistema uditivo e capirono che nessun tipo d'apparecchio di quei tempi avrebbe potuto sopperire a quel grave difetto congenito. Molto probabilmente venne dato in affido ad una famiglia di pastori poiché imparò ad accudire il bestiame. Nel 1953 il giovane venne fatto salire sul treno che lo portò a Torino Porta Nuova, e lì dovette ricominciare la sua nuova vita. I carabinieri lessero i due biglietti con cui il ragazzo era partito e lo affidarono al Cottolengo. La sua nuova casa fu la cascina che il Cottolengo possedeva a Castiglione, lì vi rimase fino a che la struttura non venne venduta per poi diventare l'attuale Municipio. Antonio fu trasferito a San Mauro nella “Casa di riposo San Giuseppe” che divenne la sua dimora definitiva, a parte due ritorni in Basilicata per accudire il padre. S'impegnò ad imparare a scrivere, ma non volle imparare il mestiere di calzolaio, lavoro che veniva e tutt'ora viene affidato ai sordo-muti del Cottolengo. Antonio anche a San Mauro accudì il bestiame e seguì il lavoro dei campi poiché la casa di riposo possedeva due mucche, un maiale, parecchie galline, conigli, arnie per le api, venivano coltivate le patate e possedevano l'attrezzatura per produrre vino. Il mutino da ragazzino aveva visto fare la carbonella, volle ripetere quell'esperienza ma l'esperimento non gli riuscì e per ben due volte incendiò il bosco. Stefano Armellino, memoria storica della casa di riposo San Giuseppe ci racconta: “Antonio aveva anche una sorella ed un fratello, entrambi più giovani di lui. Io mi sono recato nel suo pese d'origine per raccogliere notizie su di lui e sui suoi famigliari”. La sua vera famiglia però Antonio la ebbe a San Mauro, una famiglia molto allargata, dalle suore ai ricoverati, al personale laico subentrato alle suore quando il San Giuseppe cambiò gestione. Antonio, immerso nel suo silenzio osservava e ricambiava il saluto ai passanti, quando era seduto al bar dei portici, con un suono strano che voleva senz'altro dire ciao. Don Claudio, durante l’omelia, l'ha così ricordato: “Mi viene da pensare che questa persona sia stata fra i preferiti del Signore”.
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