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16 Marzo 2015 - 14:44
Sala Santa Marta gremita per la presentazione del libro "Il Grande Califfato" di Domenico Quirico, il giornalista della Stampa, inviato di guerra, rapito in Siria il 9 aprile del 2013 e liberato l'8 settembre, dopo cinque mesi di sequestro, grazie ad un intervento dello Stato Italiano. La pubblicazione narra i 150 giorni nelle mani dei rapitori di Al-Nusra.
Sabato sera, ospite di Ivrea Qaladiza – Comitato per la solidarietà con il popolo kurdo, presieduto da Graziella Bronzini, Quirico ha risposto alle domande sulla situazione e dell'evoluzione geopolitica del Kurdistan, ma soprattutto ha parlato della pericolosa situazione dell'area tra Siria ed Iraq, dove la rivoluzione scoppiata tra gli abitanti per scacciare la dittatura, è stata repressa, favorendo la nascita di nuovi e più pericolosi fondamentalismi.
Il giornalista/scrittore, nel corso dell'incontro coordinato da Davide Gamba, ha diffidato gli spettatori a non confondere il "terrorismo" con la realtà di un "progetto totalitario" che mira ad espandersi tra Asia, Africa ed Europa, in nome del rabbinismo degli islamisti più radicali. Ha raccontato delle guerre sotto il pugno di ferro di Al-Baghdadi, e della nascita del nuovo stato islamico dell'Isis.
"C'è una differenza sostanziale – ha sottolinea Quirico – tra dittatura e totalitarismo: la prima mira a reprimere ogni oppositore, la seconda traccia una linea netta di separazione tra puri ed impuri. Ed in questo caso gli impuri sono tutti gli altri: cristiani, cattolici, anche musulmani. Questo è il Califfato si sta costruendo in due modi: finanziando la costruzione di moschee e diffondendo i predicatori. In Bosnia Erzigovina troverete persone che muoiono in case da terzo mondo ma moschee ovunque. Oggi in Siria non ci son più cristiani, nessun giornalista può più entrarvi, a meno che non sia un suicida. E' qualcosa da non sottovalutare, di cui avere paura".
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