Senza i documenti non si ricostruisce la storia, ma non tutta la storia è nei documenti. Del settimese Ugo Moglia, fotografo, uomo semplice e buono, le vecchie carte non lasciano trapelare granché. In epoca di pusillanimità diffuse e di conformismo dilagante, Moglia fu antifascista. Per conto del Partito d’Azione, fece parte della giunta popolare che si costituì alla fine della seconda guerra mondiale, su iniziativa del Cln, il Comitato di liberazione. Con lui vi erano il socialista Luigi Raspini (sindaco), il liberale Venanzio Crolle e il comunista Giovanni Dallio (vicesindaci), il rappresentante dei contadini, Gaspare Bollito, il comunista Antonio Carta e il democristiano Oreste Benzi (poi fondatore dei periodici «Portavoce Settimese» e «Il Cittadino Settimese»). Ma Ugo Moglia fu anche protagonista di una vicenda nobile e generosa, il cui ricordo permane indelebile nel cuore di coloro che la condivisero assieme a lui. Vale la pena di rievocarla, celebrandosi il Giorno della Memoria. Durante la guerra, l’ebreo milanese Roberto Rosenberg Colorni era sfollato con la famiglia a San Fermo della Battaglia, non lontano da Como. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 riuscì a rifugiarsi in Svizzera. La moglie, Perla Aboaf, e i figli, Vittorio, dodicenne, e Maurizio, di pochi mesi, trovarono ospitalità presso un istituto di suore. Nel dicembre dello stesso anno, mentre cercavano di raggiungere il confine svizzero, i tre furono catturati e trasferiti a Como. Provvidenziale si rivelò l’intervento del parroco di Gravedona, don Luigi Granzella, che riuscì a farli rocambolescamente evadere con l’aiuto di una donna, Ginevra Bedetti, moglie del partigiano Luigi Masciadri. Era l’aprile 1944. Un’automobile trasportò Perla Aboaf e i suoi due figli alla stazione centrale di Milano: la loro meta era Settimo Torinese, presso Ugo Moglia. A distanza di tanti anni, Vittorio Rosenberg Colorni ritiene che il contatto fosse stato stabilito da Masciadri che collaborava con alcuni antifascisti piemontesi, fra cui l’avvocato Tancredo Galimberti (Duccio), militante del Partito d’Azione. Moglia si prodigò per la salvezza della famiglia ebrea: l’accompagnò a Torino, quindi la nascose a Pont Canavese, presso un amico, procurando carte d’identità e tessere annonarie false. Quando il rifugio parve meno sicuro, la fece trasferire ad Albugnano, nelle colline d’Asti. Il 1° gennaio 2004 Ugo Moglia è stato riconosciuto «giusto fra le nazioni» e figura con gli oltre ventimila uomini e donne (poco più di quattrocento sono gli italiani) che si adoperarono in favore degli ebrei, sottraendoli alla deportazione e alla morte, senza cercare vantaggi personali. Due anni fa il periodico del Comune di Buccinasco (Milano) pubblicò la testimonianza di una delle persone che si salvarono grazie a Moglia: «Nel mio intimo, Ugo Moglia e la sua sposa sono sempre stati nel Giardino dei Giusti. Infatti, seppure talvolta io ritenga trascurabile la nostra storia a fronte di altre, è certo che essa poté diventare tale soltanto perché noi siamo stati sottratti alla sorte predestinata grazie alle iniziative ed all’energia di coloro che, in tempi d’infamia e morte incombente, hanno saputo scegliere la vita come valore assoluto, a rischio della loro e di quella dei loro cari». In tempi tutt'altro che lontani, alcuni settimesi hanno ottenuto che una strada cittadina fosse dedicata a un podestà di epoca fascista. A quando una via col nome di Ugo Moglia, «giusto fra le nazioni»?
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