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'NDRANGHETA. La carriera di Nicodemo Ciccia: il pentito racconta i riti segreti della 'ndrangheta

'NDRANGHETA. La carriera di Nicodemo Ciccia: il pentito racconta i riti segreti della 'ndrangheta
“Come nasce uno 'ndranghetista”, ovvero la storia di Nicodemo Ciccia, il pentito che – stando a quanto sostiene la Procura, potrebbe essere uno dei testi chiave del processo Minotauro. La sua deposizione, iniziata venerdì, nell'aula 7 del Palagiustizia di Torino, era uno dei momenti più attesi: il pentito è stato sentito nell'ambito del processo di appello che vede alla sbarra decine di boss e affiliati alla 'ndrangheta, dopo che, a dispetto delle richieste della Procura, Ciccia era stato escluso dal primo grado di giudizio. Collegato in videoconferenza da una località protetta, venerdì Ciccia ha parlato per quasi 4 ore, ripercorrendo la prima parte della sua “carriera” del mondo della criminalità organizzata. A partire dagli anni '90 quando da piccolo trafficante di droga imbastì i primi rapporti con gli 'ndranghetisti canavesani, fino al 2005 anno della sua affiliazione. Ciccia ha confermato pressoché tutte le dichiarazioni già rese ai pm lo scorso settembre, quando aveva cominciato a collaborare.     Anni '80. Ciccia, cresciuto a Mammola, in provincia di Reggio Calabria, si trasferisce al nord, a Rivara. Qui lavora in una ditta di Ozegna che si occupa di pavimentazione stradale e parallelamente, introdotto nel “giro” da Nicola Loccisano, entra nel business della droga. A metà anni '90 Ciccia viene arrestato e poi rilasciato. A quel tempo, i suoi rapporti con la criminalità organizzata calabrese sono limitati. Non è affiliato, ma ha relazioni con il volpianese Mimmo Perre, cognato del boss Antonio Agresta. È lui che gli procura l'eroina da rivendere al dettaglio. Finchè, racconta Ciccia, emergono dei problemi e Ciccia deve cambiare “fornitore”. Ci riesce tramite Loccisano, Domenico Ierinò e un certo Cavarra di Messina. I tre trovano un “gancio” in Spagna, e da Madrid chiedono a Ciccia di cercare “un altro volpianese, Mimmo Spagnolo, alle dipendenze di Marando Domenico  "e chiedergli 20mila euro. Spagnolo gliene 15mila, che servono per una nuova partita di droga. Ciccia li porta in Spagna, e torna in Piemonte, in attesa della merce. Ma qualcosa va storto: l'autista che trasporta la droga viene arrestato, e così Ciccia torna in carcere.     Nel giugno 2005 il pentito viene condannato definitivamente a 8 anni e viene detenuto a Ivrea una decina di giorni. Qui conosce superficialmente il boss della locale di Cuorgnè Bruno Iaria. “Era una persona rispettata, sapevo che era uno che comandava a Cuorgnè. Ho immaginato che facesse parte della 'ndrangheta, anche se io non ero ancora dentro l'organizzazione”. “Dentro” Ciccia ci finisce a fine 2005: la sua affiliazione alla 'ndrangheta si celebra nel carcere di Saluzzo, dove viene trasferito. Qui Ciccia lega immediatamente con due calabresi: Pio Candeloro (che sarebbe stato arrestato anche successivamente, nel 2010, nell'ambito dell'operazione Infinito che ha decapitato la 'ndrangheta lombarda) e Armando Bevilacqua. Tramite loro, conosce un influente 'ndranghetista di Sinopoli, Carmine Alvaro (detto “o copertuni”).     “Candeloro, mio compagno di cella, mi chiese: come mai non ti è stata ancora tagliata la coda? (ovvero non sei stato ancora affiliato, ndr). Gli ho risposto che nessuno me l'aveva proposto, ma che mi interessava”. Candeloro parla con Alvaro. Quest'ultimo chiede a Ciccia chi comanda dalle sue parti e Ciccia fa il nome di Iaria. Alvaro scrive al boss, gli manda una lettera direttamente in carcere a Ivrea. “Con una frase che lui capiva, ha scritto a Iaria che volevano “darci un regalo, un fiore, a Nicodemo”, cioè a me. Volevano battezzarmi”. Iaria non ha nulla in contrario, ma chiede di attendere perchè nella locale di Mammola (da cui dipende quella di Cuorgnè) “ci sono dei problemi”.     Poi, una sera, durante l'ora di socialità, Ciccia, Alvaro, Candeloro, e Bevilacqua si riuniscono in cella. Per il rito bisogna essere in cinque, ma si risolve il problema esponendo un fazzoletto bianco che simboleggi il quinto elemento (un parente di Alvaro). Il rito è officiato da Alvaro stesso. “Parlava in dialetto stretto, la prima volta che la sentii non ricordai tutta la filastrocca. Faceva riferimento ai 3 cavalieri di Spagna: Garibaldi, Mazzini e Lamarmora – ha rivelato Ciccia in aula - Poi ho scoperto che la formula non era uguale per tutti, in alternativa di possono citare Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Comunque mi fecero un taglio sul polso con una lametta, a forma di croce, e bruciarono un santino”. Ciccia riceve la dote di “picciotto” e “camorrista” insieme perchè, spiega “ero già avanti con l'età”. Ai presenti (chi fa parte della “copiata”) si chiede in tre gradi di votazione se non hanno nulla in contrario al “battesimo”. Da questo momento, Ciccia fa parte della 'ndrangheta.     Successivamente, sempre in carcere, riceve la dote di “sgarro”. Il 30 aprile 2007 Ciccia esce di prigione. Dopo 10 giorni è a Cuorgnè. Cerca il boss Bruno Iaria in un bar che è solito frequentare. “Iaria Bruno mi ha chiesto se volevo “chiamare il posto a Cuorgnè”. Gli ho detto sì. Lui mi ha presentato Cosimo Lombardo e il resto della locale”.     Passa il tempo e Ciccia procede nella scala gerarchica della 'ndrangheta. Nel 2007, a casa di Bruno Iaria, riceve la dote di “santa” alla presenza di Iaria, Lombardo, Giuseppe Callà, Nicodemo Camarda, Nicodemo Agostino, Domenico Gorizia e Francesco Giorgio (soprannominato “dondecu”), che celebra il rito. Tutto si consuma in uno stanzino della tavernetta di Iaria, dove il boss conserva il vino. Dopodiché il gruppo stappa due bottiglie di champagne tenute in fresco dal boss e si brinda mangiando pane e salame.     Infine Ciccia (assieme a Luigi Cincinnato) ottiene l'ultima promozione: la dote di “vangelo”. L'affiliazione avviene al bar Italia di Cuorgnè, di proprietà di Giuseppe Catalano. Alla cerimonia, che si svolge in uno sgabuzzino del locale, partecipano Iaria e l'officiante Catalano, che non fa parte della locale di Cuorgnè, ma è il responsabile della locale di Siderno a Torino. C'è anche Benvenuto Praticò, detto Paolo, membro, assieme ai fratelli Crea e a Franco D'Onofrio, del “crimine”, la struttura sovraordinata rispetto alle varie locali. Dopo il rito si tiene un pranzo. Ci sono i due “battezzati”. C'è il boss Iaria, ci sono Paolo Praticò, Giuseppe Catalano, suo figlio Cosimo, Nicodemo Camarda, Franco Perre, Renato Macrì e Giuseppe Gioffrè. Nell'occasione Iaria introduce a Ciccia molti “amici nostri”, ovvero, in codice, gli 'ndranghetisti. Gli inviti al pranzo li fa il boss, Iaria, ma la cena la pagano i “battezzati”, Ciccia e Cincinnato, “circa 300 euro a testa, più o meno 25-30 euro a persona. L'ha deciso Iaria di festeggiare tutti al bar Italia, Lombardo non era tanto favorevole, sosteneva che si potesse fare a casa nostra. Per lui sarebbe bastata una bottiglia e un chilo di pasticcini...”.     L'interrogatorio di Ciccia da parte dei pm proseguirà lunedì alle 14 e mercoledì alle 9, quando il teste verrà sentito anche dalle difese.

 

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