Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Alessandro Svaluto Ferro, consigliere del Pd e candidato a segretario all'ultimo congresso. E pensare che c’era il pensiero, diceva Gaber… Durante il recente Congresso del PD locale spesso si è evocato il concetto di intellettuale. Il dibattito, a tratti, sembrava paradossalmente riportarci negli anni Sessanta e Settanta quando parte della sinistra italiana, in polemica con gli “intellettuali”, contrapponeva il maître à penser alla gente del popolo. Come sempre le visioni dualistiche della società sono pericolose e conducono a banalizzazioni che non rappresentano la realtà: sono solamente una sua interpretazione ideologica o strumentale. Anche i giornali locali hanno partecipato a questo dibattito, collocandomi prontamente all’interno della schiera degli intellettuali. A tal proposito desidero fare una premessa: essere definito come intellettuale per me non è certamente un insulto, anche se spesso tale appellativo è utilizzato in maniera spregiativa per indicare coloro che parlano, si arrovellano su pensieri sterili e idee improduttive e che non contribuiscono concretamente alla vita politica. Lo confesso: purtroppo non sono un intellettuale!! E questa considerazione nasce da due motivazioni oggettive. La prima ha a che fare con la mia esperienza di vita. Infatti ho prestato per 10 anni servizio educativo in una comunità parrocchiale della nostra città (leggasi impegno sociale); dal 2007 partecipo alle attività del Partito Democratico (dove per 4 anni ho ricoperto la carica di Segretario dei GD, organizzando un numero discreto di iniziative, attività ed eventi); da pochi mesi ho iniziato anche la mia avventura come Consigliere Comunale. L’intellettuale è invece colui che per professione proietta le proprie conoscenze specialistiche su uno sfondo più vasto, per ricavare un discorso generale. Detto in altri termini l’intellettuale è quel pensatore che utilizza le proprie competenze specifiche all’interno di un discorso di carattere generale (Asor Rosa). Mio malgrado, il mio curriculum e le mie capacità non sono certamente paragonabili a quelle di un intellettuale. La seconda motivazione, a mio avviso, è figlia di una confusione concettuale: spesso si confonde la cultura generale, l’uso della ragione e dello spirito critico, l’elaborazione e l’approfondimento personale, con l’esercizio intellettuale. In questi pochi anni di impegno politico nella città in cui sono cresciuto ho cercato di portare il mio contributo e la mia esperienza in modo critico. L’impegno politico non può prescindere da una delle sue funzioni salienti: la produzione di pensiero. Un’ultima battuta vorrei dedicarla alla storia. Personalmente trovo quantomeno curioso che gli attacchi più duri verso il mondo intellettuale arrivino proprio da quella parte politica, la sinistra ex (o post) comunista che tradizionalmente ha fatto della superiorità intellettuale una delle proprie forze e prerogative. La storia comunista italiana è stata segnata in gran parte dal contributo intellettuale. L’onestà e il pensiero critico erano i due elementi principali su cui si fondava la diversità comunista. Una delle linee principali di Togliatti fu la politica culturale di avvicinamento del mondo comunista a quello intellettuale, dove spiccano figure come Italo Calvino, Foà, Massimo Mila, Luigi Russo, Pier Paolo Pasolini, etc. Anzi quella strategia aveva un obiettivo politico ben preciso: costruire una cultura di massa, capace di portare le classi meno abbienti (all’epoca prevalentemente quella operaia) a nuovi livelli di cultura. La contrapposizione tra uomini del popolo e uomini di cultura (come sottolineato in apertura) è rischiosa e, sempre a mio avviso, lontana dall’idea di una sinistra che invece lavora, per dirla con le parole di don Milani, per elevare tutti gli uomini al rango di cittadini sovrani e responsabili.
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