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CUORGNE'. Esplosione Federal Mogul, chieste le condanne

CUORGNE'. Esplosione Federal Mogul, chieste le condanne
  Il 31 luglio del 2009 le fiamme divamparono nel reparto detto "Naso" della Federal Mogul, presso lo stabilimento di Cuorgnè, arrivando a incendiare il tetto in eternit. Sedici feriti e due lesionati gravi presso la ditta che produce componenti automotive. "Una piccola Thyssenkrupp" temette qualcuno. Per quell'incidente, presso il Tribunale di Ivrea, sono finiti a processo il Presidente Danile Hagranloic, i consiglieri Antonio Sessa e Dario Borghere, i direttori dello stabilimento Savino Tota e Maddalena Marco, e direttamente l'azienda per la parte giuridica. L’accusa? Non aver garantito le misure di sicurezza necessarie, e per la precisione non aver ottemperato alla normativa Arex, come constatò lo Spresal dell'Asl To 4 di Ivrea che intervenne, attraverso decine di sopralluoghi, per risalire alla causa dell'incendio e ricostruire la dinamica. Per questo il Pubblico Ministero Roberta Bianco ha chiesto la condanna a tre mesi di reclusione oltre a 25mila euro di pena pecuniaria a carico della multinazionale americana proprietaria dello stabilimento cuorgnatese. Il giudice Ombretta Vanini ha rinviato a settembre per la sentenza. Intanto, la settimana scorsa, sono stati sentiti i consulenti. Secondo le ricostruzioni dai sopralluoghi, effettuati tra il 6 agosto ed il 16 ottobre 2009, si riscontrarono danni ingenti. L’esplosione - ha stabilito il consulente incaricato dalla Procura - fu causata dalla rottura di un filtro dell’impianto che doveva abbattere le polveri prodotte dalla lavorazione di alluminio. “Quegli impianti di abbattimento di polveri - sostiene l’esperto - non erano in grado di trattare polveri infiammabili. È doveroso dotare gli abbattitori di polvere di sistemi che limitino le conseguenze di un'esplosione o di impedirne lo sviluppo, visto che al loro interno si crea atmosfera esplosiva. Mancavano dispositivi di protezione”. In merito alle cause dell’innesco il consulente ha messo sul piatto le ipotesi. In primo luogo la quantità ingente di polvere di alluminio, ma anche anomalie dell'impianto elettrico, le scintille meccaniche, e ancora la mancanza di dispositivi di sicurezza nei motori dei ventilatori a valle del filtro. “Se si fosse rotta una manica - ha aggiunto -, la polvere sarebbe potuta arrivare al ventilatore. Forse l’incidente è stato la somma di più eventi indesiderati. Di certo c’è che i sistemi di protezione o consentono uno sfogo controllato dell’esplosione oppure la contengono sul nascere. In entrambi i casi limitano i danni. Bisognava sostituire il filtro e non mi risulta che ci fosse stato un esperimento per capire l’esplosività. L’Arpa stessa aveva espresso riserve sul documento di valutazione del rischio esplosioni che per me non era esaustivo. Avrebbero dovuto spendere decine o migliaia di euro per mettere a norma impianti”. Già dal 2003 - aveva riferito lo Spresal -, la ditta avrebbe dovuto adeguarsi alla normativa in materia. Di diverso avviso il consulente della difesa: “non c'è certezza della causa dell’innesco”. Ed è su questo che punterà la difesa nella sua arringa.
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