Ennesimo “colpo di coda”, nell’ambito del processo Minotauro. E’ dell’altra settimana la notizia che Nicodemo Ciccia, detto “Nicareddu”, 42 anni, residente a Favria e affiliato alla ‘ndrangheta dal 2005 (locale di Cuorgné) avrebbe cominciato a collaborare con i pm raccontando tutto quello che sa dell’associazione criminale di cui ha fatto parte e per la quale è stato arrestato nel 2011, quindi condannato a un anno e 11 mesi con il rito abbreviato, avendo scelto il patteggiamento. Perchè? “Perchè - avrebbe detto ai magistrati - non mi ha portato nulla di utile e mi ha dato solo problemi. Perchè voglio iniziare una nuova vita e dare un futuro ai miei figli. Perchè voglio mettere una pietra sul mio passato. Infine perchè sono preoccupato per la mia incolumità”. E poi ancora: “Sono stato battezzato nel carcere di Saluzzo. Nel 2009 ho ottenuto la carica di «vangelo» con una cerimonia al bar Italia di Giuseppe Catalano...”. Un nuovo collaboratore di giustizia, insomma, le cui dichiarazioni potrebbero essere utilizzate questa settimana nell’aula bunker del carcere delle Vallette a Torino, sede del maxi-processo, per dare maggior senso alle accuse in capo a tutti quegli imputati, circa 70, che non hanno scelto il rito abbreviato. I magistrati torinesi hanno depositato l’attività integrativa di indagine: circa 300 pagine in cui sono riportati 16 interrogatori che l’uomo ha reso nell’ultimo mese. I verbali stando a quanto trapela, sarebbero già nelle mani di tutti gli avvocati difensori che si stanno opponendo all’utilizzo. Sia come sia ne viene fuori un quadro, manco a dirlo, a tinte ancora più fosche. Perchè Ciccia non era uno qualunque. Per l’organizzazione era l’uomo di fiducia di Bruno Iaria, capo della locale di Cuorgnè (“Io e Bruno lavoravamo insieme, dividevamo a metà i compensi”) e nipote di Giovanni Iaria, altro personaggio simbolo di tutta questa brutta storia, morto in carcere alcuni mesi fa. “Giovanni mi aveva detto che era stato lui a far crescere Nevio Coral politicamente a Leinì”, ha vuotato il sacco. Ciccia, per dimostrare il pentimento, nelle scorse settimana, ha indicato ai carabinieri il luogo esatto, un terreno a Busano di proprietà degli Iaria, in cui aveva nascosto due pistole. Ciccia però, manco a dirlo, non è quel che si suol dire uno “stinco di santo”. In verità, anche dopo la condanna del 2012, aveva continuato a delinquere, come se nulla fosse successo. Tra le altre cose il 6 settembre scorso era ritornato in carcere per un’estorsione ai danni di un imprenditore, organizzata insieme ad altri due “amici”, Donato Macrì e Dante Fuoco. Erano entrati in casa del malcapitato. Gli avevano rubato 15 mila euro, poi, non contenti, avevano cominciato a ricattarlo, chiedendogli, circa 200 mila euro da portare in un posto in Liguria. L’imprenditore, M.A, 59 anni, di Salassa, non si era presentato e Nicodemo Ciccia gli aveva incendiato il capannone. Infine la svolta, con la trappola ideata dai carabinieri, il 6 settembre, quando Nicodemo Ciccia è stato arrestato mentre incassava i soldi dell’estorsione.
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