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06 Maggio 2015 - 09:08
rapina
Avrebbero intimidito e minacciato l'imprenditore ed ex Vicesindaco di Cuorgnè Mauro Aira, scomparsa all'età di 60 anni, per un malore improvviso, nel giugno del 2014. Tutto per farsi consegnare una lauta somma di denaro.
Alla sbarra, presso il Tribunale di Ivrea, con l'accusa di estorsione in stile mafioso, si trovano Antonio Gagliardi, classe 1968 di San Giorgio (difeso dall'avvocato Michele Polleri del Foro di Torino) e Dante Fuoco del 1989, residente a Rivarolo (difeso dall'avvocato Franco Papotti).
Con loro era inizialmente coimputati anche Nicodemo Ciccia di Busano (sottoposto a procedimento penale per associazione mafiosa nel caso Minotauro ed oggi collaboratore di giustizia), Giovanni Catizone e Donato Macrì di Rivarolo, i quali hanno già patteggiato la pena.
Secondo l'accusa, sostenuta dal Pm Ruggero Crupi, nell'estate del 2013, il gruppo avrebbe ripetutamente ricattato Aira affinchè consegnasse 150mila euro in contanti, dandogli appuntamento all'acquario di Genova il 13 luglio, secondo una messa in scena studiata nei dettagli dal Gagliardi, approfittando del suo ruolo di collaboratore, e quindi uomo di fiducia, dell'imprenditore. In quella circostanza Gagliardi aveva raccontato d'aver ferito, nell'interesse dello stesso Aira, un esponente della criminalità organizzata calabrese, facente parte della "locale" di Cuorgnè e indicato nel Ciccia, mettendolo in guardia da eventuali ritorsioni dall'ambiente dell' 'ndrangheta. Gagliardi avrebbe quindi messo in contatto Aira con Macrì, presentandolo come Angelo Ajello, un intermediario. A questo punto Macrì e Catizone si sarebbero recati in località Rivarotta per appiccare il fuoco ad un deposito di mezzi agricoli dell'imprenditore, in modo da alimentare il clima di paura.
Già nella notte del 6 luglio Ciccia, Macrì e Gagliardi, si sarebbero introfulati, mascherati con dei passamontagna, nell'abitazione di Aira, a Cuorgnè in frazione Salto, per farsi dare la somma di 2700 euro ch'era custodita all'interno di una cassaforte, puntandogli contro una pistola contro, poi rivelatasi una scacciacani.
Nel corso di quel mese si sarebbero susseguiti altri atti intimidatori, l'incendio all'automobile di Aira e poi telefonate, fino ad ottenere altri 10mila euro, da consegnare, in contanti, a Dante Fuoco.
Gagliardi, attualmente detenuto presso il carcere di Alba, è accusato anche dei reati di rapina e danneggiamento a seguito di incendio. Martedì scorso il suo legale ha provato a chiedere ai giudici una perizia, visto lo stato depressivo del suo assistito, per valutarne la capacità di stare in giudizio, a causa, ma l'istanza non è stata accolta. Intanto il collegio ha affidato un incarico di consulenza al perito Taricone, rinviando l'udienza al 26 giugno.
Nella stessa mattinata sono stati sentiti diversi testimoni per ricostruire la vicenda, tra cui alcuni dipendenti di Aira, in frazione Salto di Cuorgnè.
"La sera del 6 luglio – ha riferito Valerio Petrica, lavoratore nonché vicino di casa dell'Aira – ero alla festa dei saldi a Rivarolo, con la mia famiglia, quando, verso mezzanotte, ho ricevuto una telefonata da Aira. Sono corso a casa, e l'ho trovato con sangue sulla faccia e sugli avambracci. Diceva che lo avevano affrontato in due, in casa, che gli avevano puntato una pistola alla testa. Volevano dei soldi. Gli avevano preso la chiave ed aperto la cassaforte. Sono stati lì fino al mattino, quando sono arrivati Tonino e Micio". Tonino era il diminutivo con cui era conosciuto Gagliardi. A lui Aira, noto per la sua generosità, aveva dato un posto di lavoro, presso la sua azienda Aira Valentino srl con sede a Pont.
"Io mi sono recato da lui solo il giorno dopo – ha raccontato un altro dipendente -. Mi ha quasi rimproverato perché avevo tenuto il telefono spento, la notte. Ricordo che in casa c'erano la bottiglia di vino ed il bicchiere sul tavolo, come sempre. Ma Aira, a differenza del solito, era molto spaventato. Mi aveva raccontato che la sera prima era a cena, poi, rincasato, era stato sorpreso da due uomini nella tavernetta, che non chiudeva mai, e che quei due avevano voluto entrare".
Riguardo al Gagliardi ha riferito che "Aira lo aveva assunto, mi pare, come autista, cinque, sei mesi prima dei fatti". Il dipendente aveva per altro in uso un'auto Fiat 16, prestatagli dal datore di lavoro, per potersi recare ogni mattina in fabbrica. "Una mattina, alle 7,30, prima di andare a lavoro, ho trovato l'interno bruciato- ha raccontato -, ho subito chiamato Aira, come quella volta in cui lui era in vacanza ed il mio vicino di casa è venuto a suonarmi, alle tre di notte, perché stava prendendo fuoco un capannone. Mauro mi diceva di ricevere delle telefonate, ma non mi raccontava né chi fosse né quale fosse il contenuto. Diceva solo che dei bastardi gli rompevano le scatole".
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