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Cronaca

Imam Shahin, la Corte d’appello blocca l’espulsione e conferma il no all’allontanamento dall’Italia

Per i giudici, Shahin resta richiedente asilo: si chiude un nuovo capitolo di una vicenda giudiziaria e politica che da mesi divide Torino

Imam Shahin, la Corte d’appello blocca l’espulsione e conferma il no all’allontanamento dall’Italia

Imam Shahin, la Corte d’appello blocca l’espulsione e conferma il no all’allontanamento dall’Italia

La Corte d’appello di Caltanissetta ha messo oggi un nuovo punto fermo nella complessa vicenda che riguarda Mohamed Shahin, imam di Torino, confermando il no all’allontanamento immediato dall’Italia disposto dal Viminale. I giudici di secondo grado hanno respinto il reclamo presentato dall’Avvocatura dello Stato, che aveva impugnato la precedente decisione del Tribunale nisseno favorevole all’imam, ritenendo legittima la sospensione del decreto di espulsione firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Secondo quanto emerge dagli ambienti giudiziari, anche per la Corte d’appello Shahin deve essere considerato a tutti gli effetti un richiedente asilo. Una qualifica che, in base alla normativa vigente, impedisce il rimpatrio fino alla definizione definitiva della sua posizione amministrativa e giuridica. Una valutazione che, di fatto, congela ancora una volta l’efficacia del provvedimento di espulsione e riapre interrogativi politici e istituzionali su un caso che, da mesi, tiene banco a Torino e a livello nazionale.

La vicenda di Mohamed Shahin affonda le sue radici nella primavera del 2024, quando l’imam, figura di riferimento per una parte della comunità islamica torinese, era stato raggiunto da un decreto di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato. Un atto amministrativo firmato dal ministro Piantedosi e motivato, secondo il Viminale, da presunti profili di pericolosità sociale e da un’attività ritenuta incompatibile con la permanenza sul territorio italiano. Le accuse, mai sfociate in un procedimento penale vero e proprio, facevano riferimento a presunti contenuti radicali diffusi durante alcune predicazioni e a rapporti considerati “opachi” dalle autorità di sicurezza.

Shahin, cittadino di origine palestinese, vive da anni in Italia ed è noto per aver svolto attività religiosa e di predicazione in diversi contesti cittadini, diventando nel tempo una figura conosciuta e, al contempo, controversa. Proprio per questo, il decreto di espulsione aveva immediatamente assunto un forte rilievo politico, inserendosi nel più ampio dibattito nazionale su immigrazione, sicurezza e libertà religiosa.

L'imam Shahin

Dopo la notifica del provvedimento, l’imam aveva presentato ricorso, sostenendo di essere richiedente protezione internazionale e quindi non espellibile. Il Tribunale di Caltanissetta, competente per materia, gli aveva dato ragione in prima battuta, sospendendo l’allontanamento e riconoscendo che la sua domanda di asilo non era ancora stata definita. Una decisione che aveva spinto l’Avvocatura dello Stato a presentare reclamo, nel tentativo di ribaltare l’orientamento del giudice di primo grado.

Il pronunciamento della Corte d’appello arriva ora a confermare quella linea: fino a quando la procedura di asilo non sarà conclusa, Shahin non può essere rimpatriato. Un passaggio giuridico che non entra nel merito delle valutazioni di sicurezza, ma che ribadisce un principio formale: la tutela prevista per i richiedenti asilo prevale sul decreto di espulsione, almeno in questa fase.

Nel frattempo, la vicenda ha continuato a produrre forti reazioni a Torino. Nei mesi scorsi, il caso Shahin è stato al centro di presìdi, manifestazioni e assemblee pubbliche, soprattutto nelle zone di Barriera di Milano e Porta Palazzo, dove parte della comunità musulmana e diverse realtà associative hanno espresso solidarietà all’imam. In più occasioni, davanti alla Prefettura e in piazza Castello, si sono svolte proteste contro quello che è stato definito un provvedimento “politico” e “discriminatorio”.

Non sono mancate, sul fronte opposto, prese di posizione dure da parte di esponenti politici di centrodestra e di alcune sigle sindacali delle forze dell’ordine, che hanno difeso la scelta del Viminale come un atto necessario a tutela della sicurezza pubblica. Una contrapposizione che ha trasformato il caso giudiziario in un terreno di scontro simbolico, tra chi invoca il rispetto delle garanzie costituzionali e chi sottolinea la necessità di strumenti rapidi contro il radicalismo.

Dal punto di vista giudiziario, è importante chiarire che Mohamed Shahin non è mai stato condannato per reati di terrorismo o per altre fattispecie penali legate all’estremismo. Le valutazioni alla base del decreto di espulsione restano di natura amministrativa e preventiva, fondate su informative di sicurezza che, per loro natura, non sempre sono pienamente conoscibili o sindacabili nel dettaglio.

La conferma del no all’allontanamento immediato non chiude però definitivamente la partita. La procedura di asilo dovrà ora arrivare a una decisione finale, e solo allora si potrà capire se il provvedimento del Viminale potrà tornare ad avere efficacia. Nel frattempo, Shahin resta in Italia, sotto osservazione, in una condizione che continua a sollevare interrogativi su equilibrio tra sicurezza e diritti, soprattutto in un contesto internazionale segnato dalle tensioni in Medio Oriente e dalle ripercussioni interne al dibattito pubblico italiano.

A Torino, intanto, la vicenda continua a essere seguita con attenzione. Per alcuni è il simbolo di una deriva securitaria, per altri la prova che lo Stato dispone di strumenti per intervenire anche in assenza di reati conclamati. In mezzo, una decisione giudiziaria che richiama tutti, istituzioni comprese, al rispetto delle procedure e delle garanzie previste dalla legge.

La storia di Mohamed Shahin, almeno per ora, resta aperta. E con essa resta aperta una domanda più ampia, che va oltre un singolo caso: fino a che punto la sicurezza può comprimere i diritti fondamentali, e dove passa il confine tra prevenzione e arbitrio. Una risposta che, ancora una volta, spetterà ai tribunali.

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