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Cronaca

Fondi ad Hamas, il presidente dei palestinesi in Italia era già pronto a scappare all'estero

Secondo la Dda e l’Antiterrorismo, Mohammad Hannoun era pronto a trasferirsi in Turchia mentre i dispositivi informatici venivano “ripuliti”

Fondi ad Hamas, il presidente dei palestinesi in Italia era già pronto a scappare all'estero

Fondi ad Hamas, il presidente dei palestinesi in Italia era già pronto a scappare all'estero

Al centro dell’indagine che ha portato a nove arresti per il presunto finanziamento di Hamas con oltre sette milioni di euro c’è una figura che per gli inquirenti rappresenta il vero snodo dell’intera operazione: Mohammad Hannoun. Presidente dell’Associazione dei palestinesi in Italia e riferimento dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (A.b.s.p.p.), Hannoun è indicato dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo come il vertice della cellula italiana dell’organizzazione terroristica.

Secondo quanto emerge dall’ordinanza firmata dalla giudice per le indagini preliminari Silvia Carpanini, Hannoun stava per trasferirsi definitivamente in Turchia, con l’obiettivo di spostare lì il baricentro operativo delle attività di raccolta e canalizzazione dei fondi. Le intercettazioni, riportate nel provvedimento di 303 pagine, dimostrerebbero che il progetto non era più allo stadio di ipotesi, ma già in fase avanzata di attuazione, tanto da configurare un “concreto e attualissimo pericolo di fuga”, uno degli elementi decisivi che ha portato alla custodia cautelare in carcere. La gip scrive che Hannoun aveva “programmato la partenza per Istanbul per il 27 dicembre” e che “la famiglia lo raggiungerà a breve”, evidenziando come la gravità del reato contestato, la possibile pena e la consapevolezza dell’indagine in corso rappresentassero una spinta sufficiente a lasciare l’Italia.

Il trasferimento all’estero, secondo la ricostruzione degli investigatori, non sarebbe stato legato a ragioni personali o familiari, ma a una vera e propria ricollocazione operativa della rete. La Turchia viene indicata come un Paese ritenuto più favorevole per proseguire le attività, mantenendo il controllo dei flussi finanziari destinati ad Hamas e riducendo il rischio di controlli diretti da parte delle autorità italiane.

Il presidente dell'associazione

Accanto al pericolo di fuga, l’ordinanza mette in evidenza anche il rischio di inquinamento probatorio. Gli accertamenti condotti da Digos e Guardia di Finanza hanno evidenziato che Hannoun e altri indagati avrebbero “ripetutamente ripulito” i propri dispositivi elettronici. Computer, telefoni e supporti digitali sarebbero stati sottoposti a cancellazioni sistematiche nel tentativo di eliminare documenti, contatti e tracciati ritenuti utili alle indagini, comportamento che per la giudice dimostra piena consapevolezza dell’attività investigativa in corso.

Il ruolo attribuito a Hannoun va ben oltre quello di semplice promotore associativo. Secondo la Dda, sarebbe stato lui a costruire e consolidare una struttura stabile, operativa da anni, capace di raccogliere fondi in Italia e all’estero presentandoli come aiuti umanitari alla popolazione palestinese. In realtà, sempre secondo l’accusa, oltre il 71% delle somme raccolte sarebbe stato dirottato direttamente ad Hamas o a enti e articolazioni da essa controllate, contribuendo in modo significativo al sostegno economico dell’organizzazione.

Attorno a Hannoun ruoterebbe l’intera rete italiana. Gli investigatori indicano come suoi stretti collaboratori Ra’Ed Hussny Mousa Dawoud, ritenuto esponente del comparto estero di Hamas e referente diretto della cellula italiana, insieme a Raed Al Salahat, Yaser Elasaly e Jaber Abdelrahim Albustanji Riyad. In questo quadro si inserisce anche la figura di Osama Alisawi, indicato come membro di Hamas ed ex Ministro dei Trasporti del governo di fatto della Striscia di Gaza, considerato uno dei profili di maggiore peso politico tra gli arrestati.

L’inchiesta si arricchisce ora anche del profilo pubblico e politico di Hannoun, ricostruito dall’ANSA. Sessantatré anni, architetto, residente a Genova, cittadino giordano ma in Italia da circa quarant’anni, Hannoun ha fondato nel 1994 l’A.b.s.p.p., oggi accusata di essere uno strumento di finanziamento di Hamas. Nel 2023, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha inserito lui e la sua associazione in una black list come finanziatori del terrorismo, accusa che l’attivista ha sempre respinto.

Nell’agosto scorso, commentando le accuse di far parte di Hamas, Hannoun dichiarava: «E' una bufala che io sia un leader di Hamas. Sono semplicemente un palestinese impegnato da decenni nella lotta per i diritti del suo popolo. Hamas ha avuto più del 70% dei voti a Gaza e in Cisgiordania, quindi è un legittimo rappresentante del popolo palestinese. E io sono simpatizzante di Hamas come lo sono di ogni fazione che lotta per i miei diritti».

La sua attività pubblica è stata più volte al centro di contestazioni. Il 15 novembre 2024, la Questura di Milano ha emesso nei suoi confronti un foglio di via per istigazione all’odio e alla violenza dopo un comizio in cui aveva elogiato giovani che ad Amsterdam avevano aggredito tifosi israeliani del Maccabi. A ottobre di quest’anno, un secondo foglio di via di un anno da Milano è stato disposto per aver giustificato le uccisioni da parte di Hamas di presunti collaborazionisti, affermando: «Dopo la tregua, la resistenza palestinese, che ha pagato con il sangue, ha fatto giustizia, come in tutte le rivoluzioni del mondo».

Dopo il 7 ottobre, Hannoun ha partecipato a numerose manifestazioni di solidarietà con il popolo di Gaza ed è stato molto attivo a favore della Sumud Flotilla, partita anche da Genova e diretta a forzare il blocco israeliano. La sua presenza a eventi pubblici è stata spesso contestata proprio per i sospetti di complicità con Hamas.

La posizione di Hannoun resta centrale anche nella gestione delle associazioni coinvolte, tre delle quali colpite da misure cautelari. Per la magistratura, queste strutture non sarebbero state semplici contenitori formali, ma veri strumenti operativi del sistema di finanziamento, capaci di raccogliere risorse con una legittimazione pubblica che rendeva più complesso individuarne il reale destino.

L’inchiesta si inserisce nel più ampio fronte di contrasto al finanziamento del terrorismo internazionale, considerato uno dei nodi strategici per colpire la capacità operativa e logistica delle organizzazioni armate. Come previsto dall’ordinamento, tutti gli indagati sono da considerarsi presunti innocenti fino a sentenza definitiva. Ma dagli atti emerge con chiarezza la convinzione degli inquirenti: Mohammad Hannoun non era una figura marginale, bensì il punto di raccordo tra Italia ed estero, pronto a spostarsi oltre confine per garantire continuità a un sistema di finanziamento che, secondo l’accusa, operava da anni sotto copertura associativa.

A completare il quadro dell’operazione, emergono anche nuovi dettagli sull’esecuzione delle misure cautelari. Delle nove misure richieste e ottenute dalla Procura di Genova nei confronti di presunti finanziatori di Hamas, solo sette sono state eseguite. Due degli indagati, infatti, risultano irreperibili sul territorio nazionale perché attualmente all’estero, uno in Turchia e uno nella Striscia di Gaza. A renderlo noto è stato il procuratore capo di Genova Nicola Piacente, confermando le difficoltà operative legate alla dimensione internazionale dell’inchiesta.

Nel corso delle perquisizioni scattate nella mattinata, e tuttora in corso, gli investigatori hanno operato in numerose città italiane, tra cui Genova, Milano, Monza, Firenze, Roma, Bologna, Torino, Modena, Bergamo e Lodi. Durante i controlli sono stati sequestrati oltre 200mila euro in contanti, una parte significativa dei quali rinvenuta presso la sede dell’associazione La Cupola d’Oro a Milano. Un elemento che, secondo gli inquirenti, rafforzerebbe ulteriormente l’impianto accusatorio legato alla gestione e alla movimentazione dei fondi destinati, secondo l’accusa, al finanziamento dell’organizzazione terroristica.

Ulteriori elementi chiariscono anche la genesi temporale dell’inchiesta. La Procura di Genova ha precisato che l’indagine su Mohammad Hannoun per presunti finanziamenti ad Hamas era stata avviata prima del 7 ottobre 2023, dunque prima dell’attacco che ha riacceso il conflitto in Medio Oriente. L’apertura del fascicolo è avvenuta a seguito di una serie di Segnalazioni di operazioni sospette (Sos) pervenute alla Direzione nazionale antimafia di Roma e successivamente trasmesse agli uffici genovesi. Le segnalazioni riguardavano movimenti bancari ritenuti anomali sui conti riconducibili a Hannoun e alle associazioni a lui collegate.

A chiarirlo è stato il procuratore capo di Genova Nicola Piacente, che ha ricordato come Hannoun fosse già finito sotto indagine nel 2010 per ipotesi analoghe di finanziamento ad Hamas, procedimento poi archiviato dal Tribunale di Genova.

Un passaggio decisivo dell’inchiesta riguarda inoltre la cooperazione internazionale. Le informazioni sulle associazioni palestinesi destinatarie dei finanziamenti sono emerse grazie a rogatorie internazionali attivate con le autorità giudiziarie israeliane, che hanno anche trasmesso ulteriore documentazione in via spontanea. Secondo quanto spiegato da Piacente, gli investigatori avrebbero trovato riscontri concreti alle informazioni provenienti da Israele sui server dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (A.b.s.p.p.), sottoposti a ispezione nell’ambito di una operazione sotto copertura.

Un elemento che, per la Procura, rafforza l’impianto accusatorio e conferma come l’indagine non sia nata sull’onda emotiva degli eventi più recenti, ma sia il risultato di un lavoro investigativo avviato da tempo, fondato su flussi finanziari, riscontri informatici e cooperazione giudiziaria internazionale.

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