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Cronaca

Sgombero di Askatasuna, Torino torna terreno di scontro: la città si blinda

Operazione della Digos nello storico centro sociale, tensioni in strada, politica divisa e scuole chiuse per sicurezza

Sgombero di Askatasuna, Torino torna terreno di scontro: la città si blinda

Lo sgombero è scattato all’alba, senza preavviso, come nelle operazioni che segnano un punto di non ritorno. Il centro sociale Askatasuna, storico spazio dell’area antagonista torinese legato all’area di Autonomia Contropotere, è stato liberato stamattina dalla Digos della polizia di Torino, con il supporto di carabinieri, guardia di finanza e vigili del fuoco. Un intervento che arriva al termine di una lunga stagione di tensioni, polemiche politiche e scontri di piazza, e che riporta il capoluogo piemontese al centro di un confronto duro tra ordine pubblico, diritti di protesta e gestione degli spazi occupati.

Il blitz nello stabile di corso Regina Margherita 47, occupato dal novembre 1996, non è stato un fulmine a ciel sereno. Lo sgombero era stato chiesto più volte, negli ultimi mesi, dai partiti di centrodestra, a livello locale e nazionale, soprattutto dopo la serie di azioni violente avvenute a margine delle manifestazioni pro Palestina. Per il Viminale, l’operazione rappresenta un segnale politico oltre che operativo. «Dallo Stato un segnale chiaro: non ci deve essere spazio per la violenza nel nostro Paese», ha dichiarato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, commentando a caldo l’intervento delle forze dell’ordine.

Dentro l’edificio, dichiarato inagibile ad eccezione del piano terra, la polizia ha trovato sei attivisti al terzo piano. Una presenza che ha fatto scattare automaticamente la decadenza del patto di collaborazione sottoscritto oltre un anno fa tra il Comune di Torino e un comitato di garanti, che aveva tentato di incanalare Askatasuna in un progetto di utilizzo dei beni comuni. Secondo l’amministrazione, quella clausola era chiara e vincolante. «Tale situazione configura un mancato rispetto delle condizioni del patto di collaborazione che pertanto è cessato», ha spiegato il sindaco Stefano Lo Russo, formalizzando di fatto la rottura definitiva.

Di segno opposto la reazione dei garanti, che hanno chiesto alla Giunta e alle forze politiche che la sostengono di riaprire il confronto e «adoperarsi per la riattivazione del progetto», nel tentativo di evitare che lo sgombero si trasformi in una frattura permanente tra istituzioni e una parte della città.

Sul piano giudiziario, l’operazione rientra in un’inchiesta ampia e articolata, che conta decine di indagati per una serie di episodi avvenuti nelle ultime settimane. Gli investigatori collegano Askatasuna agli assalti alle Ogr del 2 ottobre, alla sede di Leonardo del 3 ottobre, al quotidiano La Stampa il 28 novembre e alla Città Metropolitana il 14 novembre, oltre alle occupazioni temporanee dei binari nelle stazioni di Porta Nuova e Porta Susa del 22 e 24 settembre. Durante le perquisizioni sono stati sequestrati dispositivi elettronici, abbigliamento ritenuto utilizzato durante le azioni violente e fumogeni. I reati ipotizzati vanno dalla violenza privata alle lesioni personali aggravate, dall’interruzione di pubblico servizio al danneggiamento aggravato, fino alla violenza e resistenza a pubblico ufficiale aggravata e al blocco stradale in concorso.

La tensione non si è fermata allo sgombero. Nel pomeriggio e in serata gli attivisti si sono radunati in presidio e hanno dato vita a un primo corteo, tentando di rientrare nella palazzina. Il tentativo è stato respinto dalle forze dell’ordine con l’uso degli idranti, dopo il lancio di petardi e bottiglie contro i reparti schierati. Una situazione che ha spinto le autorità a mantenere un alto livello di allerta e a disporre la chiusura delle scuole vicine, oggi e anche domani, per evitare rischi legati a nuove proteste.

Dal presidio, la risposta degli attivisti è stata durissima e senza mediazioni. «Possono chiudere, sgomberare o arrestarci, ma ci troveranno sempre nelle strade. Sgomberare Askatasuna è la volontà chiara di un governo fascista di contrastare le manifestazioni oceaniche per la Palestina», hanno dichiarato, leggendo lo sgombero come un atto politico e non solo di ordine pubblico.

Sul fronte politico, le reazioni sono state immediate e polarizzate. Dal centrodestra, l’operazione viene rivendicata come una vittoria. «Ringraziamo il ministro Piantedosi per l’operazione, che conferma che avevamo ragione a chiedere la cancellazione del patto tra Comune di Torino e antagonisti», hanno dichiarato la vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Augusta Montaruli e l’assessore regionale Maurizio Marrone. Ancora più netto il presidente dei senatori di Fdi Lucio Malan, per il quale «è la vittoria dello Stato contro i violenti». Sulla stessa linea Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di Forza Italia: «Questo centro di eversione e di violenza ha goduto troppo a lungo di impunità e della compiacenza anche di enti locali».

Dall’opposizione, invece, il caso Askatasuna diventa terreno di scontro sui doppi standard nella gestione della legalità. «Quando assisteremo allo sgombero di Casapound a Roma? Il Partito democratico denuncia con forza i doppi standard nella gestione della legalità», ha dichiarato il deputato dem Matteo Mauri, responsabile sicurezza del Pd. Più sfumata la posizione del presidente del Pd Stefano Bonaccini, che ha invitato a distinguere: «Non si può fare di tutta l’erba un fascio: esistono centri sociali, in tutto il paese, che producono cultura e socialità».

Critica anche la voce del Movimento 5 Stelle, con l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino che legge nello sgombero una prova di forza: «Dove ci sono violenze o attività illecite è giusto intervenire. Ma quello che vediamo ripetersi oggi, davanti allo sgombero di Askatasuna, che sa tanto di prova di forza, è il solito copione».

Mentre Torino si prepara a un’altra giornata di tensione, con la città ancora blindata e l’attenzione delle forze dell’ordine ai massimi livelli, lo sgombero di Askatasuna segna la fine di una stagione ambigua, fatta di tentativi di mediazione e di scontri sempre più frequenti. Resta ora da capire se l’operazione riuscirà davvero a spegnere il conflitto o se, come temono in molti, lo sposterà semplicemente altrove, riportando la battaglia politica e sociale dalle stanze dei tavoli istituzionali alle strade del capoluogo piemontese.

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