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Lo Russo su Askatasuna: “Il patto sulla legalizzazione è decaduto, le condizioni non esistono più”

Dalla legalizzazione tentata allo sgombero, il sindaco di Torino ha preso posizione

Lo Russo su Askatasuna: “Il patto sulla legalizzazione è decaduto, le condizioni non esistono più”

Lo Russo su Askatasuna: “Il patto sulla legalizzazione è decaduto, le condizioni non esistono più”

Per mesi aveva difeso una linea scomoda, criticata da destra e guardata con sospetto anche dentro il suo campo politico. Oggi Stefano Lo Russo certifica pubblicamente che quella strada è finita. Lo sgombero e il sequestro di Askatasuna non sono soltanto un’operazione di polizia giudiziaria: sono il punto di rottura definitivo di un percorso politico che il sindaco di Torino aveva voluto tentare e che ora dichiara chiuso senza appello.

Le parole pronunciate oggi dal primo cittadino segnano uno spartiacque netto. «Continuo a pensare che la scelta che abbiamo fatto in quella fase fosse quella di provare a verificare le condizioni di sussistenza della possibilità di restituire alla città una fruizione pubblica di quell’immobile in un percorso di legalità», ha detto Lo Russo a margine della presentazione del progetto di ristrutturazione della GAM. Ma subito dopo arriva la frase che chiude il capitolo: «Prendo atto che queste condizioni sono venute meno per la violazione dell’ordinanza».

È la presa d’atto di un fallimento politico prima ancora che amministrativo. Quel “percorso di legalità” – basato su un patto di collaborazione limitato al piano terra dello stabile di corso Regina Margherita 47 e sottoscritto con un comitato di garanti – era stato uno dei gesti più controversi dell’amministrazione Lo Russo. Un tentativo esplicito di riportare Askatasuna dentro una cornice regolata, sottraendolo alla dimensione esclusivamente antagonista che lo ha caratterizzato fin dall’occupazione del 1996.

Lo sgombero avvenuto all’alba di giovedì 18 dicembre cambia radicalmente il quadro. La Digos entra nello stabile nell’ambito dell’inchiesta sugli assalti alla redazione de La Stampa, alle Ogr e alla Leonardo, episodi maturati durante le manifestazioni pro Palestina dei mesi scorsi. Al termine delle perquisizioni, l’edificio viene sequestrato e sigillato. Ai piani superiori – dichiarati inagibili – vengono trovati sei attivisti: una presenza che fa scattare automaticamente la decadenza del patto con il Comune.

Lo Russo lo dice senza giri di parole: «È stata violata un’ordinanza e quindi automaticamente il patto è decaduto, e lo abbiamo comunicato ai sottoscrittori». Nessuna zona grigia, nessuna trattativa residua. La violazione delle regole fa saltare tutto. E con essa salta anche l’argomento più usato dal sindaco nei mesi scorsi: l’idea che la legalizzazione potesse essere uno strumento per disinnescare conflitti e riportare sotto controllo uno spazio storico dell’antagonismo torinese.

Stefano Lo Russo

Il sindaco rivendica però un altro punto chiave, politicamente sensibile: «Le operazioni condotte dall’autorità di pubblica sicurezza si sono svolte nelle forme e nei modi previsti dalla legge, dall’ordinamento e dai ruoli dei singoli soggetti». È una frase pesata, che risponde in anticipo alle accuse di uso eccessivo della forza o di forzature politiche. Lo Russo, oggi, si colloca esplicitamente sul terreno della legalità istituzionale, prendendo le distanze sia dagli attivisti sia da chi, a destra, lo ha accusato a lungo di ambiguità.

Il contrasto con il passato recente è evidente. Solo pochi mesi fa il sindaco difendeva la scelta di “verificare le condizioni” per una restituzione pubblica dell’immobile, sostenendo che ignorare Askatasuna non avrebbe risolto il problema. Una posizione che aveva alimentato polemiche durissime, soprattutto dopo l’assalto alla sede de La Stampa, definito allora da gran parte della città un punto di non ritorno. Oggi quel punto di non ritorno viene formalizzato anche dall’amministrazione.

Intorno allo sgombero, intanto, si è acceso lo scontro politico nazionale. Fratelli d’Italia, per voce del capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami, ha rivendicato l’operazione come il segno di una discontinuità imposta dal governo Meloni: «È finita la stagione dell’accondiscendenza e degli ammiccamenti ai violenti». Parole che puntano direttamente a Lo Russo e alla sua scelta iniziale di dialogo. Il sindaco, però, non replica sul piano ideologico: si limita a ribadire che la decadenza del patto è una conseguenza automatica delle violazioni accertate.

Nel frattempo, le ricadute dello sgombero si sono fatte sentire ben oltre corso Regina. Per ragioni di ordine pubblico sono state chiuse scuole e asili della zona, lasciando centinaia di famiglie nel caos e scatenando proteste di genitori rimasti senza alternative per i figli. Un effetto collaterale che rende ancora più evidente quanto Askatasuna non sia mai stata solo una questione simbolica, ma un problema concreto di sicurezza, gestione urbana e convivenza quotidiana.

Dopo quasi trent’anni, Askatasuna viene sigillata. E con essa si chiude una fase politica precisa. Lo Russo non rinnega la scelta fatta all’inizio del mandato, anzi la rivendica come tentativo legittimo. Ma ne certifica pubblicamente la fine: le condizioni non ci sono più, il patto è decaduto, la linea del dialogo si è infranta contro i fatti.

Ora resta una domanda che il sindaco non affronta, ma che incombe su Torino: che cosa diventerà quello spazio, una volta terminata l’emergenza giudiziaria? Per ora, una cosa è certa. Askatasuna non è più un terreno di sperimentazione amministrativa. È il luogo in cui la città ha smesso di trattare e ha scelto di chiudere.

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