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Cronaca
11 Dicembre 2025 - 23:53
La vicenda della piccola Lucia, tre mesi appena, continua a piegarsi sotto il peso delle domande inevase. Oggi, a distanza di giorni dallo schianto sulla A5 all’altezza di Volpiano, il tratto di asfalto sembra trattenere una storia che gli investigatori faticano a ricomporre. Una storia fatta di minuti che scivolano, veicoli che si sfiorano, testimoni che parlano e soprattutto un silenzio iniziale che ha inghiottito tutto: il colpo, la fuga, l’abbandono. La procura di Ivrea, che coordina le indagini, ha disposto per lunedì l’autopsia sul corpo della bambina. È l’unico strumento in grado di chiarire, con la precisione che le tecniche forensi sanno garantire, la sequenza finale delle lesioni e la causa esatta del decesso.
Sabato scorso la Fiat 500X guidata dalla madre di Lucia è finita contro le barriere di cemento dopo aver perso l’assetto in seguito a un urto posteriore. L’impatto ha innescato una reazione a catena violenta: l’ovetto, che dai primi accertamenti non risulterebbe correttamente agganciato, si è staccato dall’abitacolo. La bambina è stata sbalzata sulla carreggiata, avvolta nel sacco nanna, mentre l’auto si accartocciava contro lo spartitraffico. Sono secondi che si ripetono nelle ricostruzioni, nei rilievi, nei verbali della Polizia Stradale di Settimo Torinese. Secondi che raccontano un destino che nessuno poteva immaginare su un rettilineo apparentemente banale.
Lucia, caduta sull’asfalto, sarebbe stata travolta da un’altra auto sopraggiunta pochi istanti dopo. L’automobilista potrebbe non essersi accorto di nulla. Un impatto quasi impercettibile in condizioni di scarsa visibilità, un corpo troppo piccolo per essere riconosciuto in tempo, un movimento minimo che diventa tragedia. Su questo punto l’autopsia avrà un ruolo determinante, perché dovrà stabilire la natura e la successione delle lesioni, distinguendo ciò che è dipeso dall’urto iniziale e ciò che è invece attribuibile al probabile secondo investimento.
Ma al centro dell’indagine resta soprattutto un furgone. Il mezzo è stato individuato grazie all’analisi delle telecamere ai caselli, unico sistema in grado di compensare l’assenza di occhi elettronici proprio nel tratto dello schianto. È attraverso quei varchi che gli agenti hanno ricostruito orari, passaggi, compatibilità di transito, fino a isolare un veicolo danneggiato e il suo conducente. Un uomo che ora è indagato per omicidio stradale, omissione di soccorso e fuga.
La sua versione della serata ha iniziato a incrinarsi sin da subito. Al rientro dal turno ha spiegato al datore di lavoro che le ammaccature sul furgone sarebbero state provocate da un cinghiale sbucato all’improvviso. La stessa storia è stata riportata alla polizia giudiziaria, come se si trattasse di una semplice fatalità. Poi, qualche ora dopo, è arrivata la correzione. Una frase incerta, quasi sospesa: forse aveva urtato un’auto, forse c’era stato qualcosa che non ricordava, forse il cinghiale e la vettura si confondevano nella memoria.
Gli investigatori, però, hanno due testimoni oculari. Due persone che raccontano una dinamica compatibile con un tamponamento. Dicono di aver visto il furgone avvicinarsi alla 500X, colpirla, spostarsi sulla corsia d’emergenza. Dicono che il conducente è sceso, ha osservato i veicoli, si è guardato attorno. E poi se n’è andato. Senza allertare i soccorsi, senza alcun gesto che potesse ricondurlo alle responsabilità previste dal codice della strada.

Il Procuratore capo di Ivrea Gabriella Viglione
Sono testimonianze pesanti, che la procura sta vagliando insieme ai rilievi tecnici. Il furgone è sotto sequestro, la 500X è già stata analizzata nei laboratori. Gli specialisti stanno cercando tracce, frammenti, residui di vernice, deformazioni compatibili con un tamponamento. Perché laddove la memoria vacilla, la lamiera no. La lamiera registra tutto, anche ciò che qualcuno vorrebbe non ricordare.
A complicare il quadro c’è l’assenza totale di frenate. Nessuno dei mezzi coinvolti, secondo quanto rilevato, sembra aver lasciato una strisciata sull’asfalto. Un dettaglio che amplifica il sospetto che l’urto sia stato rapido, inatteso e forse nemmeno percepito nella sua gravità da chi lo ha provocato. O che sia stato percepito, ma ignorato.
La madre di Lucia è stata soccorsa in stato di shock. Stava tornando verso Quincinetto, dove il padre della bambina le attendeva. Quel viaggio si è spezzato venti chilometri prima, dentro un intreccio di coincidenze e omissioni che ora la procura tenta di sciogliere. Per la piccola Lucia, invece, resta l’ultimo atto formale: l’autopsia. Sarà la sede in cui i medici legali cercheranno di dare risposte là dove tutto il resto genera solo ipotesi.
Intorno a questa indagine si è formato un silenzio cupo, quasi ostinato. Lo stesso silenzio che ha segnato i primi minuti dopo l’impatto, quando qualcuno si è fermato a guardare e poi è ripartito. È quel gesto, più ancora del rumore delle lamiere, che continua a pesare sulle carte. Perché dentro la morte di Lucia non c’è solo una fatalità stradale. C’è una scelta. C’è il “dopo” di chi ha visto e non ha fatto nulla.
La procura, guidata dal Procuratore capo Gabriella Viglione, vuole arrivare a ricostruire ogni secondo. Perché in questo caso i secondi sono tutto. Sono la linea che divide la colpa dall’incidente, l’omissione dall’imprevisto, la responsabilità dalla negligenza. Lunedì, con l’autopsia, si muoverà il primo tassello definitivo. Da lì in avanti sarà più difficile nascondersi dietro un cinghiale, un dubbio o una memoria improvvisamente sfocata.
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