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SETTIMO TORINESE

Addio a Luigi Lampis, il genio della grafica che firmò il disco di "Vamos a La Playa"

Realizzava a mano quelle che si possono definire opere d’arte, come le illustrazioni dei manifesti degli spettacoli del Laboratorio Teatro Settimo

Addio a Luigi Lampis, il genio della grafica che firmò il disco di "Vamos a La Playa"

Luigi Lampis, genio della grafica

Il suo volto è comparso timidamente tra le epigrafi della città. Luigi Lampis se n’è andato all'età di 69 anni, venerdì 21 novembre. In punta di piedi. Ma era un artista vero, un bagliore di colori in un’epoca in bianco e nero con sfumature di grigio anni di piombo, in un mondo che doveva ancora parlare in inglese per dire marketing al posto di pubblicità e promozione.

Era un creativo, incredibilmente genio cresciuto in una città che conosceva soltanto il turno in fabbrica e la tuta da operaio. Invece lui realizzava a mano quelle che si possono definire, senz’ombra di dubbio, opere d’arte: le illustrazioni dei primi manifesti degli spettacoli del Laboratorio Teatro Settimo, come “Citrosodina”, e, udite udite, anche la prima copertina del disco “Vamos A La Playa” dei Righeira, un duo composto da Michael Righeira (alias Stefano Rota) e Johnson Righeira (Stefano Righi).

Uno del nostro Villaggio Fiat, il Rota, e l’altro, il Righi, di Barriera Milano. Un giorno, Johnson si è presentato nello studio Atipiqa di Lampis, in via Principe Tommaso a Torino, con quelle che si chiamavano le demo, una musicassetta a nastro, in cui c’era solo l’intro di “Vamos A La Playa”. Un inciso suonato con una tastierina fredda, alla Kraftwerk. Era arrivato con l’entusiasmo di chi aveva trovato “il pezzo giusto”. Lo aveva fatto ascoltare a quel gruppo dei ragazzi del Circolo Pepe, un nucleo associativo “pesante” di 300 iscritti di cui facevano parte (alcuni lo avevano fondato) gli attori del nascente Laboratorio Teatro Settimo. Ta-ta-ta-ta-tà. Le prime cinque note erano già entrate nella testa di tutti. “E poi, la voglio cantare in spagnolo”. “In spagnoloo?!”: i suoi compagni di città, questa città, questa che ha imparato con il tempo a diventar distratta e a distrarre, avevano strabuzzato gli occhi trattenendo a stento le risate. E invece fu il Successo, quello con la S maiuscola. Nell’estate del 1983 non c’era radio che non trasmettesse “Vamos a La Playa ohohoh” più e più volte, ogni giorno, un brano arrangiato dai fratelli La Bionda di Torino con i primi sintetizzatori. Loro, i Righeira, la cantavano all’unisono, una modalità in stereofonia. Prima di questo successo che pareva planetario, avvolgente e onnipresente ovunque, i Righeira si erano esibiti in piazza a Settimo.

Il manifesto di Vivapiazza del 1979

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Avevano una cravatta fatta con un tubo al neon che al momento del ritornello veniva acceso da Lucio Diana agganciando la spina a intermittenza, a tempo. Una pratica che preoccupava parecchio i due mattatori, ma che diede un effetto scenico incredibilmente originale. “Balla Marinetti e Balla Mussolini”, cantavano ad un certo punto dello show, un’idea che ispirò un’interpellanza in consiglio comunale per apologia di fascismo. Quel politico dell’epoca non aveva capito la sottile provocazione. Erano quegl’anni lì, quelli del risveglio potente dell’arte e della sperimentazione, mica come quest’epoca mischiata e confusa dall’ipercomunicazione. E sullo sfondo di quel tempo c’erano le opere di Luigi Lampis. Erano volantini, pagine, copertine, disegnate a mano. Senza intelligenze artificiali o digitali. Aveva ideato proprio lui la copertina di Vamos a La Playa, una grafica che faceva parte di quel successo, una canzone che segnava l’inizio degli anni Ottanta insieme a Self Control di Raf. Si ballava e si sognava, con i piedi per terra. Vibrava contestazione nell’aria, si osava. Non c’era paura, non si compiaceva la politica, il potere. Si provocava per sollecitare, perché la libertà era partecipazione.

Questo frammento di poesia vissuta me l’ha raccontata lo stesso venerdì sera in cui Lampis era mancato, tutto d’un fiato, il regista Gabriele Vacis durante un tragitto in auto per raggiungere le Fonderie Limone di Moncalieri, il teatro in cui si sono esibiti i suoi pregiati allievi, quelli dei PoEM. Sabato 22 mattina, il regista settimese lo ha poi ricordato su Facebook così: “VIVAPIAZZA è stata la partenza della mutazione antropologica di una periferia invivibile che è diventata “Uno scampolo di paradiso”. Cos’è stata? Una congiunzione astrale che ha catapultato nella stessa favela piemontese un gruppo di ragazze e ragazzi che le hanno dato il giro? Eravamo giovani, ed eravamo tanti. E, cazzo, eravamo molto, molto belli. Tra noi c’era anche qualche artista. Quello che li ha disegnati, quegli anni formidabili, si chiamava LUIGI LAMPIS. Un artista vero. Che poi ha fatto cose meravigliose. Ma stamattina io voglio ricordarlo, voglio ricordarci, allora. L’altra sera Luigi se n’è andato chissà dove.  Ma i disegni che ci ha lasciato sono nostri. E quelli non ce li porterà via nessuno, mai, Luigi caro”.

Lo ha ricordato sempre sui social anche Lucio Diana con la frase: “Attenzione Tipi Pericolosamente Creativi”. Un codice social per salutare il suo amico artista. 

Gabriele Vacis aveva in passato suggerito in Comune l’idea di esporre le sue opere originali, per celebrare un artista che diede linea e colore alla bellezza di quei tempi, ma poi le cose van sempre a finire nei cassetti chiusi. E adesso che non c’è più? Lo ricordiamo noi. Così. Con questo manifesto di “Vivapiazza”, una delle innumerevoli opere, nella speranza di poterle vedere tutte insieme esposte nella sua città. Con queste immagini che sanno di intelligenza naturale. Quella degli artisti veri. 

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