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Cronaca
25 Novembre 2025 - 09:37
Espulsione dell’imam Shahin: tensione alle stelle a Torino
La notizia dell’espulsione di Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn Al Khattab di via Saluzzo, arriva in un momento già segnato da fratture profonde nel dibattito pubblico torinese. Il decreto, emesso per motivi di sicurezza nazionale, è stato reso noto dal movimento Torino per Gaza, che da mesi sostiene apertamente la figura del religioso. Shahin, nato in Egitto e residente in Italia da oltre vent’anni, è stato trasferito ieri in un Centro di permanenza per il rimpatrio, da cui potrebbe essere rimandato nel suo Paese d’origine.
Il nome dell’imam aveva già attirato l’attenzione mediatica lo scorso 9 ottobre, quando, parlando durante una manifestazione pro-Palestina, aveva definito l’attacco di Hamas del 7 ottobre come un atto di “resistenza” dopo anni di occupazione. Parole che avevano sollevato un’ondata di polemiche e che, secondo ambienti di sicurezza, sarebbero finite al centro delle valutazioni che hanno portato alla revoca del suo permesso di soggiorno di lunga durata.
Il movimento Torino per Gaza, in una nota particolarmente critica, parla apertamente di una decisione che metterebbe a rischio la vita dell’imam. Nel comunicato viene riportato che l’espulsione sarebbe stata confermata «nonostante la sua richiesta di asilo politico, ignorando ogni evidenza del pericolo reale e documentato che Mohammad correrebbe». Il riferimento è alla situazione dei dissidenti politici in Egitto, dove – secondo i suoi sostenitori – Shahin non potrebbe rientrare in condizioni di sicurezza. La nota aggiunge: «Mohamed è stato arrestato dopo due anni di mobilitazioni in cui non ha mai smesso di esporsi pubblicamente contro il genocidio in corso in Palestina», collocando il provvedimento dentro un quadro di repressione ideologica.

La stessa organizzazione definisce l’espulsione un atto «islamofobo e razzista», contestando la cornice giuridica e politica entro cui è stato adottato il provvedimento. Una lettura che colloca la vicenda non solo nel perimetro della sicurezza pubblica, ma anche in quello più ampio dei diritti civili e della libertà di espressione. Per il movimento, «il suo unico reato è aver gridato insieme a tutti noi la libertà per la Palestina», frase che traduce la percezione di un provvedimento che colpirebbe la dimensione politica delle sue prese di posizione più che presunti rischi reali per l’ordine pubblico.
La vicenda, ancora in evoluzione, si inserisce in un clima nazionale caratterizzato da controlli più stringenti nei confronti di figure ritenute sensibili sotto il profilo della radicalizzazione. La difesa dell’imam promette battaglia sul piano legale, mentre i suoi sostenitori annunciano nuove mobilitazioni nelle prossime ore. Il nodo, ora, riguarda la possibile esecuzione del rimpatrio e le valutazioni del giudice sulla richiesta di protezione internazionale.
La città osserva con attenzione. L’espulsione di Shahin rischia infatti di trasformarsi in un caso politico, capace di alimentare un confronto già incandescente sulle libertà religiose, sulla gestione dei Cpr e sulle tensioni legate al conflitto mediorientale. Un equilibrio delicato che Torino dovrà affrontare con la consapevolezza che sicurezza e diritti, in certi momenti, finiscono per scontrarsi frontalmente.
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