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‘Voci dal confine’, il libro che sposta le frontiere dell’ascolto: la serata torinese con Elia Milani

Otto anni sul campo tra Israele e Palestina: Milani intreccia il suo racconto a quello di chi il confine lo abita, tra ostacoli quotidiani, permessi difficili e vite sospese

‘Voci dal confine’, il libro che sposta le frontiere dell’ascolto: la serata torinese con Elia Milani

Elia Milani durante la presentazione di Voci dal confine al Circolo dei lettori di Torino, mentre dialoga con il pubblico sulle storie raccolte in otto anni di reportage in Medio Oriente

Ieri sera Torino ha assistito a una scena rara: il confine raccontato da chi, per otto anni, lo ha attraversato ogni giorno. Non una linea tracciata sull’asfalto, ma un margine vivo che separa, unisce e ferisce nello stesso tempo: terre, popoli, paure, speranze. Un confine che Elia Milani, inviato del TG5, conosce non solamente come geografia, ma come esperienza: un luogo abitato, respirato, attraversato persino nei suoi silenzi più fragili.

Il Circolo dei lettori si è riempito per accogliere Milani e il suo libro ‘Voci dal confine’ (Mondadori), un’opera che supera la forma del reportage per diventare un attraversamento umano delle fratture più dolorose del nostro tempo.

A introdurre la serata è stata la giornalista torinese Germana Zuffanti, che ha subito colto l’essenza del lavoro di Milani: “Milani descrive una Gerusalemme divisa, e allo stesso tempo unita, da persone profondamente diverse tra loro. Racconta questa complessità attraverso le storie degli individui che ha incontrato lungo il suo percorso: persone con vissuti intensi, segnati dalla storia e dalle tensioni del luogo, ma anche da una sorprendente umanità”.

Parole che sintetizzano la traiettoria personale e professionale di un giornalista che ha imparato a leggere il conflitto partendo dai volti, dalle case, dai vicoli che separano e uniscono allo stesso tempo.

Durante la serata Milani ha raccontato ciò che ha visto sul campo e di Tulkarem, città della Cisgiordania nord-occidentale, diventata negli ultimi mesi uno degli epicentri più drammatici delle operazioni dell’IDF. Lì le incursioni hanno coinvolto i campi profughi adiacenti - Tulkarem e Nur Shams - generando sfollamenti, case distrutte, infrastrutture ridotte in macerie, comunità intere che non possono più tornare nelle loro abitazioni.

Un quadro di vulnerabilità che Milani ha descritto senza enfasi, ma con la precisione di chi ha camminato in quei luoghi e ascoltato i silenzi delle persone rimaste senza casa.

Il libro di Milani non mette al centro gli spari, ma i silenzi che restano dopo. Non parla della guerra: parla delle persone che provano a muoversi dentro di essa come si cammina in una stanza buia, cercando di non perdere l’equilibrio. Vi è George, che vive ad Al Ram, oltre un muro che non separa soltanto territori ma identità. Ci sono Ruth e Rana, due traduttrici cresciute ai lati opposti della storia, eppure capaci di costruire un linguaggio comune. Vi è Abdullah, che da Rafah superava il confine ogni mattina per lavorare nella fattoria israeliana che lo aveva accolto. Sono storie che spostano lo sguardo: la guerra è lo sfondo, ma ciò che conta sono le relazioni che sopravvivono nonostante tutto. Da otto anni Milani racconta Israele e Palestina in diretta per Mediaset. Nel libro, però, sceglie un’altra prospettiva: la ricerca di una casa in affitto a Gerusalemme, le difficoltà per ottenere un permesso d’ingresso a Gaza, l’incertezza degli spostamenti, la sensazione costante che ogni porta - metaforicamente e non - possa restare chiusa.

È un racconto che smonta la distanza: ciò che vediamo nei telegiornali è lontano, ciò che si vive sul posto è invece la quotidianità che tiene insieme (o separa) milioni di persone e Milani lo ricorda senza retorica: quel conflitto non è un capitolo isolato della geopolitica, ma uno specchio del disorientamento che tutti noi stiamo vivendo.

Ma qual è la storia che ha portato Milani fino a Gerusalemme? Nato a Pavia nel 1984 e cresciuto a Biella, nel quartiere Chiavazza, all’interno di una comunità per tossicodipendenti gestita dai genitori, Milani ha respirato fin da piccole storie di fragilità e rinascita. Poi è arrivata la lingua araba, studiata prima all’Università Popolare di Biella e poi approfondita a Damasco e Beirut. Una competenza che oggi gli permette non solo di tradurre le parole, ma di capire le sfumature, i silenzi, i gesti di chi vive ogni giorno il conflitto. Dopo la Scuola di Giornalismo “Walter Tobagi”, è entrato in Mediaset fino alla nomina a corrispondente da Gerusalemme. Oggi è tornato in Italia con la moglie Arianna, anche lei biellese, per la nascita della loro bambina.

Il tratto distintivo di Milani è la sobrietà. Non alza mai la voce, nemmeno quando il mondo intorno lo fa. Non semplifica la complessità, non cede agli slogan. E forse è per questo che il pubblico torinese lo ha ascoltato con attenzione. In un tempo che smarrisce continuamente le sfumature, le voci del confine - quelle vere - diventano preziose. Il libro di Milani custodisce proprio questo: la certezza che, per capire davvero il mondo, bisogna prima ascoltare chi lo abita.

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