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23 Novembre 2025 - 09:24
Non c’è nulla di più disarmante di una ragazza che parte per uno stage estivo pensando di imparare un mestiere e finisce invece per fare i conti con ciò da cui ogni adulto dovrebbe proteggerla. A Bellaria Igea Marina, secondo una denuncia presentata alla Questura di Vercelli, una 19enne del Vercellese avrebbe subito una violenza sessuale da parte di uno dei responsabili dell’agenzia con cui stava lavorando. Una storia che arriva da settembre, ma rimbalza ora, a due giorni dal 25 novembre, come uno di quei colpi che ti ricordano perché giornate come quella contro la violenza di genere non sono mai retorica.
La giovane era in Romagna per uno stage come animatrice. Una serata in discoteca organizzata dallo staff, un clima che — sulla carta — doveva essere leggero. Lei racconta alla polizia che proprio lì uno dei responsabili l’avrebbe avvicinata, insistente, al punto da costringerla a respingerlo. Sembrava finita lì, una scocciatura di quelle che troppe ragazze archiviano con un sospiro e un “me lo sono tolto di torno”.
Ma secondo la denuncia non era finita affatto. In albergo, nella toilette della hall, quell’uomo l’avrebbe raggiunta, chiuso la porta, e lì l’avrebbe aggredita. Abusi sessuali, dice il verbale. E qui salta ogni alibi, ogni giustificazione, ogni tentativo di minimizzazione: nessun fraintendimento, nessuna avance “spinta”, nessuna ambiguità. Solo un abuso di potere, di ruolo, di corpo. Il giorno dopo la ragazza è rientrata in Piemonte, ha parlato con il fidanzato e con i genitori, poi ha trovato il coraggio — quello vero — di andare in Questura e denunciare tutto. L’uomo è stato identificato e ora gli investigatori stanno verificando ogni passaggio.
È inevitabile chiedersi cosa significhi davvero “sicurezza” quando una 19enne deve temere non lo sconosciuto nel vicolo, ma chi dovrebbe tutelarla mentre muove i primi passi nel lavoro. E il punto non è solo l’episodio in sé, gravissimo, ma la trama più ampia che rivela: la normalità con cui la violenza maschile tenta di infilarsi nei luoghi più ordinari, di colonizzare le famiglie, i rapporti affettivi, i luoghi di studio, i lavori stagionali, gli spazi pubblici.
Fra due giorni sarà il 25 novembre, e ci racconteranno numeri, grafici, campagne, fiocchi rossi. Ma la verità è che quelle statistiche hanno il volto delle ragazze che incrociamo ogni giorno: studentesse, stagiste, commesse, animatrici. Ogni storia come questa incrina la fiducia collettiva, perché dimostra che non basta cambiare le leggi se non cambiamo il modo in cui guardiamo al potere maschile sui corpi femminili. Il 25 novembre non è un rito: è un promemoria feroce che la violenza di genere non è l’emergenza di un giorno, ma il fallimento quotidiano di tutti. E ogni volta che una ragazza trova la forza di denunciare, ci obbliga a guardarlo in faccia senza più scuse.
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