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Cronaca

Branco di minorenni accoltella un 22enne: “Speriamo che schiatti”

Intercettazioni agghiaccianti dopo l’aggressione: i cinque ridevano e pianificavano storie social.

Branco di minorenni accoltella un 22enne: “Speriamo che schiatti”

Branco di minorenni accoltella un 22enne: “Speriamo che schiatti”

C’è un momento, nel racconto di questa storia, in cui ci si chiede se l’adolescenza stia diventando una zona franca dell’empatia. Succede quando, dalle intercettazioni, spunta quella frase – “Speriamo che schiatti” – detta con la stessa leggerezza con cui ci si scambia una battuta in cortile. È lì che l’ennesimo episodio di violenza giovanile a Milano smette di essere cronaca e diventa un promemoria feroce su cosa siamo disposti a tollerare.

Tutto parte da una sigaretta chiesta in una notte qualunque, 12 ottobre, nei pressi di corso Como. Un 22enne, studente della Bocconi, cammina da solo. Cinque ragazzi – tre minorenni, due appena maggiorenni – lo avvicinano. Prima la sigaretta, poi i soldi da cambiare, poi quei 50 euro strappati di mano con l’arroganza di chi non teme che la storia presenti il conto. Il ragazzo li insegue. Il branco risponde. Pugni, calci, coltellate. Una lama gli perfora un polmone, un’altra gli danneggia il midollo spinale. La vita appesa a un filo per giorni, oggi una gamba che non tornerà più come prima.

Fin qui la brutalità. Ma il peggio arriva dopo. Perché non si parla di ragazzi disperati, cresciuti ai margini. No: famiglie medio borghesi, nessuna emergenza sociale, solo una disarmante superficialità elevata a cifra esistenziale. Dopo il pestaggio ridono, commentano, si vantano. “C’è un video dove si vede che lo scanniamo”. “Facciamo una storia su Instagram?”. Il vuoto come identità, la narrazione digitale della violenza come status symbol.

Uno di loro, su TikTok, scrive sotto un video della consigliera Silvia Sardone, che denunciava i sei accoltellamenti del weekend: “Il 7 non l’hanno scoperto ancora”. Non un lampo di vergogna, non l’ombra di un dubbio. Solo la spavalderia di chi si sente intoccabile, di chi confonde la città con un videogioco e le persone con sagome da colpire.

Quando gli inquirenti li perquisiscono e li portano in commissariato, continuano a ironizzare. “Magari schiatta…”. “Lo hai spaccato”. Pugni mimati, risatine, “zio” e “bro” scanditi come un dialetto di appartenenza. Gli investigatori lo chiamano “scollamento dalla realtà”. Sembra qualcos’altro: una crepa culturale che non sappiamo più come contenere.

Di questa storia resteranno i referti, i capi d’imputazione – tentato omicidio pluriaggravato e rapina pluriaggravata – e quella gamba che non risponderà più come prima. Ma resterà soprattutto un interrogativo che Milano ormai conosce fin troppo bene: cosa si spezza, dentro cinque ragazzi “normali”, prima che decidano di trasformare un coetaneo in un trofeo da condividere in rete?

E chissà se un giorno, riascoltando quelle frasi pronunciate con tanta leggerezza, capiranno che non stava tremando solo la mano di chi colpiva. Stava tremando una città intera, stanca di ripetere che non può essere questa la normalità.

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