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Cronaca

San Giovanni Bosco, psichiatra "strangolata" per un ricovero negato: ospedali fuori controllo

Colpita alla testa con una spillatrice e quasi strangolata da un 57enne. In nove mesi 189 aggressioni nei presidi torinesi: protocolli, telecamere e promesse non fermano la violenza che ormai dilaga nei reparti

San Giovanni Bosco, psichiatra "strangolata" per un ricovero negato: ospedali fuori controllo

San Giovanni Bosco, psichiatra "strangolata" per un ricovero negato: ospedali fuori controllo

La mattina di ieri ha segnato l’ennesima pagina amara della sicurezza nei reparti ospedalieri torinesi. Al Ospedale San Giovanni Bosco, nel quartiere Barriera di Milano, un uomo di 57 anni è stato arrestato dai militari del Nucleo Radiomobile dei Carabinieri dopo essersi scagliato contro una dottoressa del reparto di Psichiatria. Giunto in ospedale per un consulto, avrebbe richiesto a ogni costo il ricovero. Al diniego della professionista, ha afferrato una spillatrice dalla scrivania e l’ha usata per colpirla alla testa, per poi tentare di strangolarla. Lei è riuscita a dare l’allarme: sono intervenuti prima i colleghi e la vigilanza, poi i carabinieri che hanno bloccato l’aggressore, ora accusato di lesioni personali a un sanitario.

L’aggressione mette in luce non solo il singolo gesto, ma un problema assai più ampio: nelle strutture sanitarie torinesi la violenza verso il personale è ormai diventata una costante inquietante.

medico

I dati dell’ASL Città di Torino parlano chiaro: tra il 1° gennaio e il 30 settembre 2025, sono stati registrati 189 “eventi aggressivi” negli ospedali dell’azienda, con particolare concentrazione al San Giovanni Bosco e al Ospedale Maria Vittoria.

Questo quadro è confermato da crescenti segnalazioni: per esempio, lo scorso 23 giugno un infermiere addetto al triage del San Giovanni Bosco è stato strattonato da un parente di un paziente esasperato per i tempi d’attesa, riportando un trauma cervicale e costringendo il triage alla sospensione temporanea del servizio. Il sindacato Nursind ha evidenziato come l’area fosse distante dalla postazione di vigilanza e pertanto particolarmente vulnerabile.

Sul fronte istituzionale, la reazione è arrivata con la firma, da parte della Prefettura di Torino e dell’ASL, di un protocollo d’intesa per potenziare la videosorveglianza e garantire una maggiore presenza delle forze dell’ordine nei presidi. Il prefetto Donato Cafagna, insieme al direttore generale dell’ASL Carlo Picco e all’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi, ha spiegato che «non è più tollerabile che avvengano casi di violenza fisica e verbale contro chi tutela la nostra salute».

Il San Giovanni Bosco e il Maria Vittoria sono stati indicati come i primi due presidi a beneficiare del rafforzamento: videosorveglianza più capillare, passaggi più frequenti delle forze dell’ordine, e un parcheggio interno adiacente al reparto che verrà realizzato per tutelare soprattutto il personale notturno.

Ma nel reparto di Psichiatria – teatro dell’aggressione del giorno – la situazione appare ancor più critica. In un comunicato del sindacato medico Anaao Assomed si denuncia che i continui episodi di violenza, l’isolamento operativo degli operatori, la scarsa protezione e l’assenza di presidio rendono il lavoro quotidiano “una vera e propria crisi di vocazione”. Vengono segnalate guardie interne che rifiutano l’intervento nei reparti psichiatrici, forze dell’ordine che non intervengono per questioni di giurisdizione e spazi strutturati male dal punto di vista della sicurezza.

Tornando all’episodio specifico: il 57enne, secondo quanto ricostruito, era stato accompagnato in Psichiatria per un consulto. Alla decisione della dottoressa di non procedere al ricovero, sarebbe seguita la reazione violenta. Il gesto – afferrare una spillatrice, colpire la professionista, tentare di strangolarla – evidenzia la pericolosità delle situazioni che possono generarsi quando il paziente ha aspettative divergenti da quelle cliniche e la contenzione, l’assistenza, la valutazione diventano terreno di conflitto. L’arresto per “lesioni personali a un sanitario” – reato recentemente introdotto proprio per tutelare medici e infermieri – mostra come la legge stia tentando di stare al passo con l’allarme.

Eppure, la legge da sola non basta. Il personale dell’ospedale – medici, infermieri, OSS, guardie – continua a segnalare la fatica di lavorare esposto a rischio, soprattutto in corsia, nei reparti aperti h24, dove il criterio di accoglienza (anche di soggetti in agitazione psichica o in stato alterato) è spesso l’unica linea guida. Quando la sicurezza manca, rischia di venir meno anche la qualità dell’assistenza. Il rischio non è solo quello per gli operatori, ma anche per altri pazienti: basti pensare che in un recente caso all’ospedale Ospedale Molinette sono state due donne violentate all’interno del reparto di Psichiatria da un paziente e la Procura ha aperto anche una inchiesta sul sistema di vigilanza ospedaliero.

L’episodio di ieri dunque diventa sintomatico di un’emergenza che va affrontata in profondità: non più solo telecamere e pattuglie, ma un ripensamento complessivo della logistica ospedaliera, della formazione del personale all’anti-violenza, della valutazione del rischio e del supporto a chi cura. Perché se è vero che chi va in ospedale cerca cura e guarigione, è ancora più vero che chi cura ha diritto a farlo senza paura.

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