La vicenda del 19enne Riccardo Chiarioni assume oggi una nuova piega: ha deciso di rinunciare al ricorso in appello contro la condanna a venti anni di reclusione per il triplice omicidio della propria famiglia.
Quando aveva 17 anni – nella notte tra il 31 agosto e il 1° settembre 2024 – nella villetta di via Anzio 33 a Paderno Dugnano (Milano) ha ucciso la madre Daniela, il padre Fabio e il fratellino di 12 anni Lorenzo con oltre 100 coltellate.
La scelta – formalizzata attraverso il suo difensore Amedeo Rizza – segna una cesura rispetto alla strategia che la difesa aveva annunciato nei mesi scorsi, e che avrebbe potuto prevedere un appello basato sulla mancata valutazione del vizio parziale di mente. Invece Chiarioni ha deciso di “accettare la pena”, di proseguire all’interno dell’istituto minorile dove è detenuto il percorso di cure e gli studi universitari avviati, e di non alimentare ulteriori processi.
La sentenza di giugno 2025 del Tribunale per i minorenni di Milano aveva inflitto a Riccardi Chiarioni la pena massima prevista in rito abbreviato per un minore imputato di triplice omicidio: 20 anni. Nella motivazione si sottolineava che il giovane era stato lucido e programmato nei suoi gesti, nonostante la perizia psichiatrica avesse rilevato uno stato di personalità «tra realtà e fantasia». Il vizio parziale di mente non è stato ritenuto prevalente.
Il delitto, nella ricostruzione processuale, esplose dopo una serata di festa in famiglia: terminato il compleanno del padre, tutti andarono a dormire e il ragazzo rimase solo davanti alla televisione per un tempo indeterminato. Poi agì: prima colpì il fratello che dormiva, poi la madre intervenuta, infine il padre nella camera da letto. All’arrivo dei carabinieri chiamò egli stesso il 112, ammettendo di aver ucciso il padre. Nessun movente chiarissimo è emerso nell’istruttoria, solo dichiarazioni di disagio: «Mi sentivo estraneo agli altri», aveva riferito ai periti.
Con la rinuncia all’appello, la sentenza diventa definitiva e il percorso di espiazione – così come lo definisce il suo legale – assume priorità. La decisione non cancella la responsabilità del crimine né il dolore delle vittime e della comunità di Paderno Dugnano, ma rappresenta una scelta: non aprire vie processuali alternative, ma affrontare il tempo della pena, con studi e terapia, nel tentativo di costruire – se sarà possibile – un futuro diverso.
Questo comportamento apre uno spaccato: un giovane che, dopo un gesto che ha sconvolto una cittadina, non chiede riduzioni o attenuanti ma accetta pienamente la pena stabilita. È un fatto rarissimo in casi di cronaca simili. Resta la domanda: cosa succederà dopo? Il sistema della giustizia minorile, la comunità che ospita e che ha osservato, le vite spezzate di Daniela, Fabio e Lorenzo restano lì, implacabili. La sentenza non li restituisce, ma sanziona. Ora si aprono mesi, anni, della detenzione – venti anni – nei quali quel ragazzo dovrà fare i conti con il proprio atto, il proprio passato, la propria speranza.
A Paderno Dugnano, la strage continua a pesare: sui vicini, sugli amici del fratellino, sulle domande che adulti e ragazzi si pongono. Come è potuto succedere? Chi ha visto il segnale e non lo ha colto? Stavolta non c’è nuovo processo: c’è la pena, e un ragazzo che ha scelto di non sfuggirla. Una chiusura giudiziaria che però non consola.