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Cronaca

Mano stritolata nella betoniera a 15 anni: patteggia il datore di lavoro

Il ragazzo, oggi maggiorenne, ha ancora gravi limitazioni e ha dovuto cambiare scuola dopo l’incidente di Condove

Mano stritolata

Mano stritolata nella betoniera a 15 anni: patteggia il datore di lavoro

Un’estate di lavoro che doveva servire per “guadagnare qualcosina” si è trasformata in una tragedia destinata a segnare una vita intera. Il 12 agosto 2021, in un cantiere edile di Condove, nel Torinese, un ragazzo di 15 anni, nato a Torino da una famiglia di origine romena, rimase gravemente ferito a una mano dopo essere rimasto intrappolato in una betoniera malfunzionante. Oggi, quattro anni dopo, si è chiuso il capitolo giudiziario di una vicenda che racconta una dura realtà di lavoro minorile sommerso e responsabilità condivise.

Secondo quanto emerso dalle indagini coordinate dalla Procura di Torino, il giovane si trovava sul posto di lavoro senza alcuna tutela contrattuale né formazione, portato lì dal padre — operaio dello stesso cantiere — su invito del datore di lavoro. Fu proprio quest’ultimo, come ricostruito nei verbali, a suggerire all’uomo: «Perché non porti tuo figlio in cantiere, così guadagna qualcosina?». Il genitore acconsentì, immaginando un aiuto estivo in un ambiente familiare, senza prevedere che in poche ore la leggerezza di quella scelta si sarebbe trasformata in un dramma.

Durante le operazioni di mescolamento del cemento, il ragazzo rimase incastrato con la mano nella betoniera, riportando lesioni gravissime ai tendini e una menomazione permanente alla funzionalità dell’arto. I medici riuscirono a salvargli la mano dopo un intervento complesso, ma le conseguenze restano: oggi, da maggiorenne, il giovane ha un uso limitato della mano destra e ha dovuto abbandonare l’indirizzo tecnico che frequentava per spostarsi su un percorso di studi più teorico.

Il processo per lesioni personali colpose si è concluso ieri davanti alla giudice Alessandra Danieli del Tribunale di Torino. Il datore di lavoro ha ottenuto il patteggiamento a una pena di due mesi, mentre per il padre del ragazzo e per il capocantiere è stata disposta la messa alla prova. Una decisione che chiude formalmente la vicenda penale, ma lascia aperti interrogativi sul sistema di controlli e sulla sicurezza nei cantieri, soprattutto nei mesi estivi, quando il lavoro nero trova spesso spazio nelle pieghe della precarietà.

Il ragazzo, rappresentato dall’avvocato Alessandro Dimauro, non aveva mai voluto denunciare il padre, con il quale continua a vivere. Le indagini però erano partite d’ufficio, data la gravità delle lesioni e la presenza di un minore sul luogo di lavoro. Si è costituito parte civile contro il datore di lavoro e il capocantiere, ricevendo un risarcimento ritenuto “irrisorio” rispetto al danno subito.

Secondo quanto riferito in aula, la betoniera utilizzata quel giorno era guasta da tempo e non rispettava le norme di sicurezza previste. L’assenza di protezioni adeguate e di formazione sul corretto utilizzo dei macchinari ha contribuito all’incidente. Nessuno, in quel cantiere, avrebbe dovuto permettere la presenza di un minore.

Gli imputati erano difesi dagli avvocati Filippo Mattaboni, Simone Giacosa ed Elena Fiorellino. L’esito giudiziario non cancella l’amarezza di una vicenda che resta un monito sul fronte del lavoro minorile e della sicurezza. La storia del ragazzo di Condove è quella di un giovane che, per colpa di un sistema fragile e di una catena di responsabilità interrotte, ha visto spezzarsi parte del proprio futuro.

Un episodio che si inserisce in un contesto preoccupante: secondo i dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, in Italia nel 2024 sono stati oltre 1.200 i minori trovati impiegati irregolarmente, molti dei quali in attività pericolose. Dietro ogni numero ci sono storie come questa: giovani coinvolti in un mondo adulto che non li protegge, dove la necessità economica supera la prudenza e la legalità.

Il ragazzo oggi guarda avanti, con la discrezione di chi ha imparato troppo presto il peso del lavoro e del dolore. La sua vicenda resta, per la giustizia e per la società, un richiamo forte: nessun guadagno giustifica il rischio della vita o della salute di un minore.

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