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Lutto

Lutto nel mondo della musica: è morto James Senese, il sax di Napoli

Figlio di due mondi, cresciuto tra povertà e musica, ha trasformato la periferia in ritmo e rabbia, fondendo jazz, funk e dialetto partenopeo in uno stile unico

Lutto nella musica

Lutto della musica: è morto James Senese, il sax di Napoli

È morto a Napoli, a ottant’anni, James Senese, uno degli artisti più autentici e riconoscibili della musica italiana. Ricoverato da settimane all’ospedale Cardarelli per una grave infezione polmonare, le sue condizioni si erano aggravate negli ultimi giorni. La notizia del decesso ha scosso l’intero mondo musicale: non se ne va solo un sassofonista straordinario, ma un simbolo di identità e appartenenza, capace di dare voce alla Napoli più vera, quella ferita e orgogliosa, dolente e vitale.

La sua storia comincia nel 1945, in una Napoli ancora devastata dalla guerra. James nasce nel quartiere di Miano, figlio di una donna napoletana e di un soldato afroamericano della 92ª Divisione Buffalo, di stanza in città durante la liberazione. Un’infanzia segnata dalla povertà, dal pregiudizio e da una diversità che, negli anni Cinquanta, pesava come un marchio. L’essere “nero a metà”, come amava definirsi, divenne la radice di tutto: la ferita che sarebbe diventata suono, ritmo, melodia.

Da bambino non aveva nulla, tranne la curiosità e un istinto musicale che lo portava a imitare i suoni delle bande di strada. Poi arrivò un sax — un vecchio strumento usato, regalato da un amico — e da lì cominciò tutto. Il sassofono divenne la sua voce, il mezzo per raccontare ciò che le parole non bastavano a dire: rabbia, riscatto, dolore, orgoglio.

Negli anni Sessanta entrò nel circuito musicale partenopeo, prima suonando nei locali, poi formando il suo primo gruppo, The Showmen, insieme a Mario Musella, altro musicista figlio di un soldato americano. Insieme rappresentarono un’Italia nuova, meticcia, piena di contaminazioni. The Showmen portarono il soul e l’R&B a Napoli, mescolandoli alla canzone popolare, anticipando di almeno un decennio quel movimento che sarebbe poi diventato il Neapolitan Power.

La vera svolta arrivò nel 1974, quando fondò i Napoli Centrale con Franco Del Prete. Fu un terremoto musicale. Il gruppo univa il jazz al funk, le atmosfere urbane al dialetto, la rabbia sociale al virtuosismo strumentale. Il primo album, “Napoli Centrale”, fu un manifesto: brani come Campagna e ’A gente ’e Bucciano raccontavano le periferie, gli operai, la vita ai margini, con una forza fino ad allora sconosciuta nella musica italiana. Niente folklore, niente cartoline: solo verità, in forma di groove.

Seguì una stagione di intensa produzione e di concerti infuocati. Album come Mattanza e Qualcosa ca nu’ mmore consolidarono il mito di Senese e della sua band. La critica lo riconobbe come uno dei protagonisti di una rivoluzione culturale che attraversava la città: la nascita di una Napoli consapevole, cosmopolita, capace di parlare al mondo con la propria lingua.

Il legame con Pino Daniele fu naturale. I due si incontrarono alla fine degli anni Settanta e collaborarono a lungo, diventando parte dello stesso respiro musicale. Il sax di Senese divenne una presenza inconfondibile nelle prime incisioni di Daniele: un suono che sapeva piangere e graffiare, che faceva da contrappunto perfetto alla chitarra e alla voce del cantautore. Insieme rappresentarono il volto più profondo e moderno di Napoli, fondendo blues, jazz e Mediterraneo in un’unica visione sonora.

Ma James Senese non era solo un musicista: era un uomo con un messaggio. Dietro ogni nota, dietro ogni assolo, c’era la volontà di raccontare la dignità dei poveri, la fatica dei quartieri, la forza di chi non si arrende. Non cercava la perfezione formale, ma la verità. Per questo la sua musica era viva, ruvida, a volte irregolare, ma sempre piena di sangue.

Negli anni Ottanta proseguì la carriera solista senza abbandonare i Napoli Centrale. Pubblicò dischi intensi, sperimentali, che segnavano un’evoluzione personale ma coerente. James Senese (1983), Hey James (1991), Zitte! Sta arrivann’ ’o mammone (2001) furono tappe di un percorso mai banale. In ogni lavoro cercava un punto d’incontro tra tradizione e innovazione, tra spiritualità e denuncia sociale. Collaborò con molti artisti, da Lucio Dalla a Enzo Avitabile, e il suo sax risuonò in film, colonne sonore, produzioni televisive.

Il successo internazionale arrivò tardi, ma meritato. Negli anni Duemila portò il suo suono in Europa e in America, dove trovò un pubblico attento e curioso. I critici stranieri lo descrivevano come “un ponte tra John Coltrane e la tarantella”, una definizione che lo faceva sorridere ma che, in fondo, gli somigliava: una vita intera trascorsa a cercare equilibrio tra l’anima nera e quella napoletana.

James Senese era anche un uomo di grande rigore. Non amava le etichette, non inseguiva mode, non scendeva a compromessi. Continuò a esibirsi fino all’ultimo, nonostante i problemi di salute. I suoi concerti erano esperienze fisiche: suonava piegato sul sax come in un dialogo intimo con se stesso, mentre la band seguiva quel flusso di energia che sembrava arrivare da lontano, da una radice antica e incandescente.

Il suo ultimo periodo fu segnato da un ritorno alle origini. Con i Napoli Centrale aveva celebrato nel 2023 i cinquant’anni di carriera con un tour che aveva toccato teatri e piazze di tutta Italia. Ogni tappa era una dichiarazione d’amore a Napoli, alla musica, alla vita. La voce si era fatta più roca, il passo più lento, ma lo sguardo restava lo stesso: fiero, ironico, combattivo.

La sua morte lascia un vuoto profondo. Non solo per ciò che rappresentava come artista, ma per il suo ruolo di testimone: uno dei pochi ad aver raccontato con sincerità le contraddizioni del Sud senza retorica né vittimismo. Per Napoli, James Senese era più di un musicista. Era un simbolo, un fratello, una voce collettiva. Il suo sax aveva raccontato la fatica di chi vive ai margini e il sogno di chi non smette di crederci.

In un’intervista recente aveva detto che la musica, per lui, era “una forma di resistenza”. Lo è stata fino alla fine. Ha trasformato la discriminazione in arte, il dolore in energia, la solitudine in melodia.

Con la sua scomparsa si chiude un capitolo irripetibile del Neapolitan Power, quel movimento che aveva unito jazz e identità, funk e dialetto, portando Napoli al centro della musica italiana. Ma la sua eredità resta: nei solchi dei vinili, nei cuori dei musicisti più giovani, nei suoni che continuano a salire dalle strade della città.

James Senese se n’è andato così come ha vissuto: in silenzio, ma con la forza di una nota lunga, che non si spegne. Il suo sax continuerà a parlare, come una voce che non ha bisogno di parole.

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