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Postalcoop a pezzi: azienda chiusa, libri in tribunale e famiglie buttate per strada

L’impero della logistica di Ciriè crolla dopo l’inchiesta “Epicentro”. Frodi, subappalti, evasione e silenzi imbarazzanti da parte di Nexive e Poste Italiane. I pacchi viaggiano, i lavoratori no

Postalcoop a pezzi: azienda chiusa, libri in tribunale e famiglie buttate per strada

Postalcoop a pezzi: azienda chiusa, libri in tribunale e famiglie buttate per strada

Era una cooperativa modello, almeno sulla carta. Fondata a Ciriè nel lontano 1986, Postalcoop si vantava delle sue certificazioni ISO, della sostenibilità ambientale, della formazione continua dei dipendenti. Parlava di “outsourcing integrato”, di “servizi chiavi in mano”, di “logistica green”. Un linguaggio moderno, patinato, fatto per rassicurare i clienti e convincere gli appaltatori. Ma dietro quella facciata di efficienza e buone intenzioni si nascondeva, secondo la Procura di Torino, un meccanismo ben diverso: una macchina che macinava subappalti, frodi fiscali e contratti di lavoro camuffati. Oggi quel castello è crollato, e sotto le macerie ci sono le vite di trentuno lavoratrici e lavoratori del magazzino di Grugliasco, rimasti senza stipendio e senza alcuna prospettiva. Non sono i soli.

Il loro capannone, in strada Decima all’interno dell’Interporto di Torino, fino a poche settimane fa era un alveare: furgoni in movimento, pacchi in partenza, corrieri con le giacche fluorescenti e turni che coprivano tutto il giorno. Era lì che si smistavano le consegne di Nexive Network, società del gruppo Poste Italiane, affidate in subappalto a Postalcoop tramite la Opera Delivery, società milanese che gestiva l’appalto per conto di Nexive. Poi, d’improvviso, tutto si è fermato. Niente più stipendi da settembre, niente comunicazioni chiare. Solo un annuncio secco, freddo, arrivato a metà ottobre: “L’azienda verrà cessata”.

L’amministratrice giudiziaria Rita Sansò ha consegnato i libri contabili in tribunale e formalizzato la richiesta di cessazione dell’attività. Un gesto che equivale a una resa. Il magazzino è chiuso, i pacchi rimasti sono stati presi in carico da altri operatori. E i lavoratori? A casa, senza un reddito, con famiglie da mantenere e mutui da pagare. Alcuni di loro raccontano con amarezza di aver appreso la notizia quasi per caso, come se fossero un dettaglio marginale di una vicenda più grande di loro. “Ci hanno detto che l’azienda chiude, ma nessuno ci ha spiegato cosa succede adesso. I pacchi li consegnano altri, noi siamo solo stati cancellati”, dice uno di loro.

Tutto è partito dall’inchiesta “Epicentro”, coordinata dalla Procura di Torino e condotta dalla Guardia di Finanza, che ha portato alla luce un sistema di evasione fiscale e somministrazione illecita di manodopera del valore di oltre 26 milioni di euro. Secondo gli investigatori, Postalcoop avrebbe operato attraverso una rete di società “filtro” e contratti fittizi, un meccanismo capace di garantire guadagni milionari agli amministratori e allo stesso tempo di abbattere il costo del lavoro. 

La Cgil nazionale e la Slc Cgil hanno denunciato la situazione con un comunicato congiunto che non lascia spazio a interpretazioni.

“Da oltre un mese - scrivono - più di trenta tra lavoratrici e lavoratori di Postalcoop a Grugliasco sono senza stipendio e senza possibilità concrete di riprendere il lavoro. L’unica speranza è l’attivazione degli ammortizzatori sociali, ma per il futuro non si vede alcuna prospettiva”.

Il segretario confederale Pino Gesmundo e il segretario nazionale Nicola Di Ceglie non risparmiano accuse: “Questa vicenda è da attribuirsi al comportamento dell’imprenditore sotto inchiesta, ma il vero problema è il sistema degli appalti e dei subappalti che produce risparmi per la committenza e disastri per i lavoratori. Poste Italiane e Nexive devono cambiare atteggiamento: la responsabilità sociale non si dimostra con slogan e campagne pubblicitarie, ma con i fatti.”

La Slc Cgil di Torino, che segue i lavoratori sul territorio, ha avviato le procedure per chiedere la cassa integrazione straordinaria alla Regione Piemonte e intende presentare una rivendicazione di riassunzione nei confronti di Nexive, Poste e Opera Delivery, richiamando la clausola sociale prevista in caso di cambio di appalto. È una battaglia legale e sindacale che si annuncia lunga, ma che potrebbe rappresentare l’unica ancora di salvezza per chi, fino a poche settimane fa, contribuiva al funzionamento di un sistema logistico che oggi fa finta di non conoscerli.

Intanto, i pacchi che fino a settembre partivano dal magazzino di Grugliasco continuano ad arrivare a destinazione. Gli stessi volumi di lavoro, le stesse rotte, gli stessi clienti. Solo che chi li gestisce ora non sono più loro.

“Il problema non è la mancanza di lavoro – sottolinea la Cgil – i pacchi che gestivano i lavoratori di Postalcoop continuano a essere consegnati. È la dimostrazione di un sistema che, quando un pezzo si rompe, lo sostituisce senza pensarci, lasciando le persone dietro le quinte a scontare gli errori altrui.”

La logistica è diventata l’arena invisibile del nuovo sfruttamento: appalti, subappalti, cooperative spurie, società “ponte” che nascono e muoiono in pochi anni. Tutto in nome della “competitività”, tutto per tenere bassi i costi. Postalcoop ne era l’emblema, un marchio che ha lavorato per decenni con Poste Italiane, Nexive e altri grandi committenti, fino a trasformarsi in un gigante dai piedi d’argilla. Dall’esterno sembrava un’organizzazione solida, ma dentro era un labirinto di contratti e scatole cinesi. Quando la Procura ha scoperchiato il vaso, la cooperativa è crollata su se stessa, trascinando nel vuoto chi di colpe non ne aveva.

Il caso Postalcoop è anche una questione morale. Non solo perché mostra la fragilità dei controlli negli appalti pubblici e privati, ma perché mette in discussione la narrativa della “transizione efficiente” che domina il settore. Tutto deve essere veloce, ottimizzato, sostenibile, digitale. Ma a che prezzo? È la domanda che la Cgil rivolge direttamente a Poste Italiane, chiamandola a un’assunzione di responsabilità: “Abbiamo chiesto settimane fa l’apertura di un focus sugli appalti del settore logistica, anche in vista della riorganizzazione complessiva del gruppo. Ma da Poste nessuna risposta.”

Il paradosso è che proprio mentre il gruppo Poste celebra i successi del proprio piano industriale, modernizzando piattaforme e investendo miliardi nella logistica 4.0, trenta persone che lavoravano per quella stessa catena restano senza un euro in tasca. A Grugliasco, la modernità è arrivata sotto forma di disoccupazione. E mentre i furgoni continuano a circolare, i lavoratori si ritrovano a chiedere l’elemosina di un tavolo di confronto.

postalcoop

Martedì mattina, in Prefettura a Torino, si terrà un incontro tra le parti: sindacati, amministrazione giudiziaria, rappresentanti di Poste e Nexive. Si discuterà di ammortizzatori, clausole sociali, responsabilità condivise. Ma la sensazione, tra i lavoratori, è che si stia solo prendendo tempo. “Non lasceremo soli i lavoratori di Postalcoop – ha dichiarato la Cgil – continueremo ostinatamente a cercare una soluzione insieme alle nostre strutture di Torino e Piemonte”.

Resta il fatto che Postalcoop, nata come cooperativa di servizi postali, si è trasformata negli anni in un simbolo della degenerazione del sistema degli appalti. Un’azienda che diceva di “valorizzare le persone” e finisce per schiacciarle sotto il peso delle proprie irregolarità. Un brand che predicava efficienza e innovazione, e si spegne nel silenzio, con un cancello chiuso e trenta famiglie senza stipendio.

Ecco il volto della logistica italiana nel 2025: un settore in pieno boom, trainato dall’e-commerce e dalle promesse di sostenibilità, ma costruito sulle fondamenta fragili di contratti intermittenti e responsabilità scaricate a cascata. Postalcoop non è un’eccezione: è solo la prova lampante che dietro ogni pacco consegnato in tempo può esserci un lavoratore dimenticato. E che, per ogni slogan sulla “responsabilità sociale”, c’è sempre un magazzino chiuso e una busta paga mai arrivata.

L'Operazione Epicentro

L’operazione “Epicentro” è scattata il 10 settembre 2025, con il sequestro preventivo di beni, conti e quote societarie per oltre 26,5 milioni di euro. Sotto indagine ci sono 38 persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false, intermediazione illecita di manodopera, omesso versamento di imposte e frodi fiscali.

Il provvedimento porta la firma del gip Lucia Minutella, che nelle carte parla di un meccanismo illecito “reiterato e collaudato”, tanto radicato che il rischio di reiterazione è “non solo probabile, ma certo”. A coordinare l’indagine il procuratore Giovanni Bombardieri e il pm Giulia Marchetti, mentre a condurre le operazioni è il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Torino.

Secondo gli investigatori, il sistema si basava su una catena di società con ruoli ben precisi. In basso, le società “serbatoio”, scatole vuote create per accumulare debiti fiscali e contributivi e sparire senza lasciare traccia. A metà, le società “filtro”, che rifatturavano i servizi ripulendo le operazioni. In cima, i committenti finali, che usufruivano di manodopera a basso costo senza doversi sporcare le mani. Un sistema che tra il 2018 e il 2023 avrebbe generato un volume di fatture false superiore ai cento milioni di euro, producendo profitti illeciti per 26 milioni e coinvolgendo in media oltre duemila lavoratori.

Al centro di questa trama c’è un nome: Postalcoop. Con sede legale a Ciriè, la società nata nel 1986 come cooperativa si vantava di una rete di servizi che spaziavano dal recapito di posta ordinaria e raccomandata alla distribuzione last mile, dalla manutenzione di impianti sportivi alla gestione di aree verdi, dalle pulizie tecniche alla logistica integrata, con anche un magazzino a Verolengo. Non mancavano persino riferimenti al settore della ristorazione, dove Postalcoop aveva iniziato a investire. Una realtà che, sulla carta, sembrava cresciuta passo dopo passo fino a diventare un interlocutore affidabile per privati, aziende e pubbliche amministrazioni.

Dietro quella facciata, la procura di Torino racconta però un’altra storia. Nelle carte compare Daniele Goglio, 58 anni, originario di Settimo Torinese, descritto dai dipendenti come “il capo di tutto”. Non era solo l’amministratore di fatto di Postalcoop, ma anche di una costellazione di società oggi finite nel mirino: Post Al Copp Global Service, Team Service, Consulting Prime System, Conficere Costruzioni, Global Service, Euroservice, Sir4. Dal 2016, anno in cui Postalcoop si è trasformata da cooperativa a srl, il reticolo sarebbe stato utilizzato per consolidare il meccanismo illecito: le società serbatoio emettevano fatture false a favore della società filtro Postalcoop, che a sua volta forniva manodopera sottocosto ai committenti. Così i contributi previdenziali restavano a carico delle scatole vuote che non li versavano, Postalcoop maturava crediti IVA e riduceva gli utili, e i committenti beneficiavano di tariffe ribassate.

Il mosaico diventa ancora più inquietante quando emergono i rapporti con grandi nomi della logistica. Nelle carte si leggono riferimenti a contratti con SDA, GLS e persino a società riconducibili ad Amazon. Secondo i magistrati, alcune fatture avrebbero consentito ad Amazon Italia Transport di evadere l’IVA tra il 2019 e il 2022. Amazon ha smentito ogni coinvolgimento, ma i documenti sequestrati sembrano indicare un legame che avrebbe contribuito alla crescita vertiginosa di Postalcoop negli ultimi anni.

La rete non si fermava alla logistica. L’inchiesta ha travolto anche partecipazioni societarie in locali storici e ristoranti torinesi. Sono finiti sotto la lente d'ingrandimento il Caffè Norman tra via Pietro Micca e piazza Solferino, due Suki Sushi in via Rodi e via Amendola, il Lagrange in via Lagrange, il Sushi del Manzo tra via Roma e via XX Settembre, oltre al Parkamion di Settimo Torinese e a un bar in via Po. In molti casi i sequestri non hanno colpito direttamente i locali, ma le quote societarie riconducibili a Postalcoop. Il tribunale ha disposto che le attività restino aperte, congelando i beni ma salvaguardando i posti di lavoro.

Il nome di Goglio non è nuovo alle cronache. Già nell’inchiesta “Carminius” della Dda di Torino era emerso in relazione ai rapporti con Antonino Defina, boss della ’ndrina di Sant’Onofrio trapiantata in Piemonte e condannato in via definitiva per mafia. All’epoca, le indagini bancarie avevano registrato movimenti sospetti a favore di Goglio per oltre 60 mila euro, sproporzionati rispetto ai suoi incarichi ufficiali. Più recentemente, Goglio era stato amministratore di fatto della cooperativa Marmodiv, legata a Tiziano Renzi e Laura Bovoli, i genitori dell’ex premier Matteo Renzi. In quel procedimento era accusato di aver contribuito al dissesto con l’iscrizione a bilancio di crediti inesistenti per oltre 370 mila euro. In un’intercettazione, affermava: “quel buco non me lo accollo”, riferendosi a un passivo di circa 300 mila euro. Per lui il pm aveva chiesto tre anni e mezzo di reclusione, mentre per Tiziano Renzi la richiesta era di cinque anni e per Laura Bovoli di quattro anni e otto mesi.

Di fronte a questo scenario, la voce dei sindacati si fa ancora più forte. La Filt Cgil ricorda che le denunce sulla logistica non sono una novità: da anni si parla di un settore permeato da illegalità diffusa, con appalti e subappalti gestiti al ribasso, con cooperative usa e getta create per abbattere i costi e scaricare le conseguenze sui lavoratori. Oggi però i numeri parlano chiaro: oltre duemila dipendenti coinvolti, stipendi bloccati, schede carburante ritirate, famiglie senza certezze.

La logistica piemontese, già da tempo terreno fertile di sfruttamento, oggi appare come un castello di carte crollato al primo scossone. Filt Cgil Nazionale, Cgil Torino e Cgil Piemonte lo hanno detto chiaramente: non si può permettere che il vuoto lasciato da Postalcoop e dalle sue controllate venga riempito da nuove società pronte a replicare lo stesso schema. Servono tutele immediate e la certezza che i lavoratori seguano gli appalti.

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