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Cronaca

Emanuele Lo Porto, il boss latitante che viveva nell’ombra: condannato a 26 anni

Confisca da due milioni di euro alla famiglia

Grandi opere nel mirino delle mafie

DIA (foto di repertorio)

È caduto l’ultimo velo su Emanuele Lo Porto, 65 anni, volto storico della malavita astigiana, condannato oggi a 26 anni e 8 mesi di reclusione dal tribunale di Asti. Una sentenza pesante, che mette insieme tutti i capi d’imputazione, tra cui un tentato omicidio, e che chiude un capitolo lungo e violento della cronaca piemontese.

L’inchiesta, nata dal lavoro dei carabinieri del comando provinciale, si era intrecciata con un fascicolo più ampio della Direzione distrettuale antimafia di Torino, scavando dentro anni di intimidazioni, estorsioni e pistole facili. Tutto parte da una scia di reati tra il 2018 e il 2020: rapine in villa, minacce, armi clandestine. Nel 2023 finirono in manette una dozzina di persone, ma non Lo Porto — che nel frattempo era latitante.

Su di lui pendeva già una condanna definitiva per usura, una storia in cui erano stati coinvolti anche la moglie e il figlio. Nella nuova sentenza, i giudici gli hanno contestato pure il tentato omicidio di Florian Gjoka, albanese, miracolosamente scampato a un agguato a colpi di pistola nel 2017. E poi due rapine in villa, tra Cuneese e Alessandrino, e una tentata estorsione da 50mila euro ai danni di un ristoratore.

Solo pochi giorni fa la Dia e i carabinieri avevano eseguito una confisca di prevenzione per un valore di 2 milioni di euro, colpendo il nucleo familiare di Lo Porto. Case, terreni, conti correnti: un patrimonio costruito — secondo la procura — su anni di violenza e paura.

La giustizia arriva tardi, ma arriva. E per Emanuele Lo Porto, stavolta, non ci sono più fughe né ombre dietro cui nascondersi.

Chi è Emanuele Lo Porto, il volto duro della mala astigiana

Non è un nome nuovo nei faldoni della giustizia piemontese. Emanuele Lo Porto, 65 anni, è da decenni uno dei volti più riconoscibili — e temuti — della malavita astigiana. Un curriculum criminale fitto di condanne, un profilo che intreccia usura, estorsioni, rapine e violenza armata. Una vita passata tra tribunali, latitanze e operazioni antimafia.

Nato e cresciuto nell’Astigiano, Lo Porto ha costruito la sua reputazione nei circuiti dello strozzinaggio di quartiere e delle estorsioni sotto banco, dove la minaccia vale più della parola e il debito è una condanna. Nel tempo, le sue attività si sarebbero allargate fino a toccare rapine in villa tra Cuneo e Alessandria, tentativi di estorsione da decine di migliaia di euro e un tentato omicidio nel 2017 contro Florian Gjoka, albanese, scampato per miracolo a una pioggia di colpi di pistola.

Nel 2023 Lo Porto era già un condannato per usura ed estorsione, ma invece di consegnarsi, era sparito. Latitante per mesi, è stato scovato nell’ottobre dello stesso anno a Rocca d’Arazzo, pochi chilometri da casa, durante un blitz congiunto di carabinieri e polizia. Niente fuga all’estero o bunker nascosto: viveva in un’abitazione di campagna, protetto da una rete di silenzi e connivenze.

Le indagini della Direzione Investigativa Antimafia di Torino hanno poi scavato nei suoi affari, trovando un patrimonio “sproporzionato” rispetto ai redditi dichiarati: ville, capannoni, conti correnti e terreni per un valore di circa due milioni di euro, finiti sotto confisca di prevenzione insieme ai beni di moglie e figlio.

Il 23 ottobre 2025 è arrivato il verdetto più pesante: 26 anni e 8 mesi di carcere per una lunga serie di reati commessi tra il 2018 e il 2020. La sentenza del tribunale di Asti ha messo insieme tutto: tentato omicidio, rapine, estorsioni e porto d’armi.

Oggi Emanuele Lo Porto è dietro le sbarre, ma la sua storia resta il simbolo di una criminalità che non ha bisogno di grandi clan per radicarsi. Bastano pochi uomini, un territorio omertoso e la certezza — per anni — di poterla fare franca.

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