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Cronaca

Turetta potrà uscire a 48 anni: la legge gli concede permessi e libertà condizionale, anche dopo l’omicidio di Giulia

Permessi premio, semilibertà e libertà condizionale: ecco cosa prevede l’ordinamento penitenziario per l’assassino di Giulia Cecchettin e perché la normativa italiana distingue tra ergastolo ostativo e “normale”

Turetta potrà uscire a 48 anni: la legge gli concede permessi e libertà condizionale, anche dopo l’omicidio di Giulia

Turetta potrà uscire a 48 anni: la legge gli concede permessi e libertà condizionale

Tra meno di dieci anni, Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin, potrà chiedere i primi permessi premio. Sembra incredibile, ma è la legge. A meno di due anni dal delitto che sconvolse l’Italia, il percorso giudiziario del giovane veneto condannato all’ergastolo apre ora la prospettiva — lontana ma concreta — di una futura libertà condizionale. Non si tratta di un trattamento di favore: la normativa italiana, a differenza di quella di altri Paesi europei, non prevede un “fine pena mai” per gli ergastolani comuni. L’unico ergastolo “senza uscita” è quello ostativo, riservato a reati di mafia, terrorismo o eversione. Per gli altri, la Costituzione e l’ordinamento penitenziario prevedono la possibilità di un percorso rieducativo e progressivo verso la libertà.

In base all’articolo 30-ter dell’ordinamento penitenziario (legge 354 del 1975), un detenuto condannato all’ergastolo può richiedere permessi premio dopo aver scontato almeno dieci anni di reclusione, a condizione che la sua condotta in carcere sia stata impeccabile e che non rappresenti più un pericolo per la società. Per Turetta, oggi 24enne, questo significherebbe — teoricamente — poter trascorrere alcune giornate con la famiglia già intorno ai 32 anni, cioè nel 2033.

Dopo vent’anni di detenzione, l’articolo 50 dello stesso ordinamento apre la porta alla semilibertà, che consente al detenuto di trascorrere parte della giornata fuori dal carcere per motivi di lavoro, studio o volontariato, rientrando la sera. È il secondo gradino di un percorso di “rieducazione progressiva”, che si fonda sul principio costituzionale dell’articolo 27 della Costituzione, secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Il passo finale è la libertà condizionale, disciplinata dall’articolo 176 del Codice penale, che può essere concessa dopo 26 anni di detenzione effettiva. Nel caso di Turetta, questo significherebbe la possibilità di uscire dal carcere intorno ai 48 anni, a condizione che nel frattempo abbia dimostrato un reale percorso di recupero e che il Tribunale di Sorveglianza ritenga cessata la pericolosità sociale.

Ma la legge prevede anche la “liberazione anticipata”, disciplinata dall’articolo 54 dell’ordinamento penitenziario, che può ridurre la pena di 45 giorni ogni sei mesi di buona condotta. In termini concreti, significa che un detenuto modello può ottenere una riduzione complessiva fino a cinque anni. In tal caso, Turetta potrebbe teoricamente uscire in libertà vigilata già a 43 anni, dopo poco più di due decenni di carcere.

Casi analoghi non mancano nella cronaca giudiziaria italiana. Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi, potrebbe ottenere la libertà condizionale già nel 2030. Ferdinando Carretta, che nel 1989 sterminò la famiglia a Parma, fu liberato dopo 20 anni di detenzione per buona condotta e affidamento terapeutico. Persino in casi di enorme impatto sociale, come quello di Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati all’ergastolo per la strage di Erba, la legge riconosce la possibilità teorica di beneficiare dei medesimi istituti.

Il tema, evidentemente, divide. Da una parte, il principio costituzionale della rieducazione del condannato, su cui si fonda la giustizia italiana; dall’altra, il sentimento di indignazione e dolore collettivo che accompagna crimini efferati come quello di Giulia Cecchettin. Ma la distinzione è netta: l’ergastolo ostativo — introdotto per reati di mafia e terrorismo — prevede che non sia mai possibile accedere a benefici se non si collabora con la giustizia; l’ergastolo “comune”, invece, resta soggetto al sistema di progressione penitenziaria.

In sintesi, la legge italiana non consente di cancellare del tutto la speranza di reinserimento, neppure per chi si è macchiato di un delitto atroce. Tuttavia, ogni passo — dal permesso premio alla libertà condizionale — passa attraverso un filtro severo di valutazioni psicologiche, comportamentali e di sicurezza pubblica.

Nel caso di Turetta, tutto resta ancora lontano. Ma la prospettiva che tra meno di dieci anni possa ottenere il primo permesso per tornare a casa, anche solo per un giorno, riapre una ferita profonda nell’opinione pubblica. Perché, al di là dei principi, resta la sensazione che la giustizia del codice non riesca mai a coincidere con quella del cuore ferito di un Paese che non dimentica.

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